giacimento in cavità  naturale frequentazione antropica, arte parietale

Otranto, PERIODIZZAZIONI/ ARCHI DI PERIODI/ Paleolitico - Età del bronzo

A Nord dell’insenatura di Porto Badisco, nelle formazioni calcarenitiche oligoceniche, si sviluppa la Grotta dei Cervi, scoperta nel 1970 dal gruppo speleologico salentino “Pasquale De Lorentiis” di Maglie, oggetto di scavi nel 1970-71, nel 1975, nel corso degli anni ottanta e novanta del secolo scorso e di studi multidisciplinari condotti tra il 2015 e il 2019 e finalizzati a comprendere il ruolo che questo luogo assunse per le comunità preistoriche e protostoriche stanziate in Italia sud-orientale. La grotta si configura come un complesso sistema carsico che consta di cinque cavità che introducono, attraverso cunicoli sotterranei, a quattro corridoi che raggiungono una profondità massima di 28 metri dall’attuale piano di campagna. Ai quattro corridoi, che si diramano ciascuno in più direzioni per circa 200 metri con percorsi in alcuni punti particolarmente difficoltosi e stretti e con altezza compresa tra 1 e 5 metri, si accede tramite cinque ingressi (indicati con le lettere A-B-C-D-E). La più antica occupazione umana della grotta si colloca nel corso del Paleolitico superiore, come suggeriscono le datazioni effettuate su alcuni campioni faunistici della Cavità di ingresso B comprese tra 33.000 e 10.000 anni fa, e i manufatti in pietra, i resti di pasto e alcuni supporti in pietra incisi e dipinti riferibili al Paleolitico Superiore e Mesolitico rinvenuti nelle Cavità di ingresso A e D. Alla fase post-paleolitica vengono attribuite le pitture più antiche, quelle in rosso. Esse si concentrano in un’area del secondo corridoio e sono state eseguite con l’ocra, un pigmento colorante ampiamente impiegato a partire dal Paleolitico. La frequentazione successiva si inquadra a partire da un momento antico del Neolitico, quando intorno al 5.800 a.C., la grotta divenne sede di cerimonie religiose alle quali parteciparono, probabilmente, non solo le comunità stanziate nel territorio ma anche altre provenienti da lontano, come dimostrano manufatti che richiamano produzioni documentate in altre regioni del Mediterraneo e materie prime le cui fonti sono presenti in Italia centrale, settentrionale e nell'Adriatico orientale (bitume albanese, pietra verde alpina, ossidiana liparota, cinabro forse di provenienza toscana). Allo stato attuale delle ricerche si stima che alcune delle cavità di ingresso al complesso carsico, note come A e D, cui si aggiunge il cunicolo N che immette nel primo corridoio delle pitture, rimasero in uso per tutto il Neolitico (VI-V millennio a.C.), nel corso dell’età del Rame (IV-III millennio a.C.) e dell’età del Bronzo (II millennio a.C.). Altre cavità di ingresso del complesso ipogeico furono invece adoperate per un periodo di tempo limitato, come nel caso della Cavità E, che risulta obliterata già nel III millennio a.C. A testimonianza dei riti praticati nella Grotta dei Cervi sono focolari, deposizioni di vasi all’interno di buche, offerte animali e di grano carbonizzato, di macine, ornamenti e utensili realizzati in diversi tipi di materiale (osso, pietra, ceramica), talvolta in materie prime esogene. È possibile che all’interno della grotta si praticassero riti di carattere propiziatorio per la fertilità della terra e di tipo iniziatico e di passaggio all’età adulta e che a questo fine i suoi più antichi frequentatori predisposero dei percorsi cerimoniali, costruendo muretti in pietra a secco e terrapieni, modellando gradini nella roccia per accogliere i partecipanti al rito e condurli agli spazi più bui e nascosti in cui avrebbero avuto luogo le cerimonie. A suggerire la funzione cultuale della cavità fu, tuttavia, già dal momento della sua scoperta, lo straordinario apparato iconografico: si tratta di pittogrammi dipinti in bruno, per realizzare i quali fu adoperato il guano di pipistrello, interpretate dall’archeologo P. Graziosi come raffigurazioni realistiche e astratte. Tra le prime si riconoscono scene di caccia al cervo con arcieri accompagnati da cani, mentre tra le seconde i motivi astratti. Si tratta, per citarne alcuni, di linee, motivi a S, spiraliformi, cruciformi, collettivi antropomorfi. La notevole somiglianza tra alcuni dei motivi astratti e quelli che compaiono sulle ceramiche dipinte in stile Masseria La Quercia e in stile Serra d’Alto, queste ultime abbondantemente rinvenute all’interno del complesso sotterraneo, ha permesso agli archeologi di inquadrare la gran parte delle pitture tra una fase avanzata del Neolitico antico e un momento recente del Neolitico, ovvero tra metà del VI e metà del V millennio a.C. La Grotta dei Cervi, in alcune fasi, quali ad esempio l’età del Bronzo, fu utilizzata anche a scopo funerario, come documenta una sepoltura munita di corredo e rinvenuta in un cunicolo di collegamento tra le cavità di ingresso D e E. Reperti di età messapica e romana testimoniano, infine, una frequentazione della grotta anche in età storica

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'