Alveari in pietra in Terra d'Otranto

XXI

Eugenio Imbriani si sofferma su una peculiare architettura rurale su cui ha condotto numerose ricerche nel territorio salentino. Si tratta degli alveari fatti di pietra locale presenti in particolare nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Per la loro costruzione venivano utilizzati i conci di tufo o di pietra locale, si cavavano all'interno in modo da lasciare una sorta di cornice di 4 o 5 cm e poi chiusi alle estremità con delle lastre sempre di pietra. In una di queste due lastre venivano fatti dei buchi per farci passare le api. Ogni arnia veniva messa l'una accanto all'altra così da creare un vero e proprio alveare. A terra si collocava una base per non far prendere l'umidità alle arnie e anche le sommità venivano coperte da tegole o messe sotto gli alberi per proteggerle dalla pioggia o dal caldo. I più antichi risalgono al '500. La cattura degli sciami avveniva nel mese di Maggio introducendo dei rametti di limone profumati all'interno di un contenitore. Una volta catturato, lo sciame veniva portato vicino alle arnie; queste si aprivano dalla parte posteriore (non la lastra con i buchi). Lo sciame entrava, si richiudeva l'arnia e si sigillava la lastra con il bolo. Dopo un paio di mesi si cominciavano a raccogliere i favi, sempre dalla parte posteriore, allontanando le api con del fumo fatto di sterco secco di vacca acceso - non gradevole alle api - in una "fumarola" (contenitore di terracotta inserito nell'arnia). Questa tipologia di alveari è rimasta attiva fino agli anni '80

  • OGGETTO alveari in pietra in terra d'otranto
  • CLASSIFICAZIONE LETTERATURA ORALE NON FORMALIZZATA
  • LOCALIZZAZIONE Lecce (LE)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE "Nel suo libro 'L’apicoltura in Terra d’Otranto nella società tradizionale' il Professore Eugenio Imbriani ci ricorda una tradizione relativa alla cattura degli sciami citata dal monaco Vincenzo Corrado in 'Scuola di Generale Agricoltura', 1792, Napoli. Questo monaco consigliava di non dimenticare di invitare lo sciame a posarsi con un fischio modulato delle labbra e di tambureggiare su due recipienti di terracotta verniciata per produrre una dolce melodia. Un’enorme quantità di cera d’api era consumata nel passato durante i riti funerari, i matrimoni e la benedizione dei ceri pasquali. Sembra anche che esazioni in cera fossero imposte per espiare degli errori più o meno gravi e per il pagamento di certe multe... Così ad un curato che aveva dimenticato di accendere una lampada votiva in onore del Santissimo i suoi superiori chiesero, come espiazione, duecento libbre di cera! Nelle chiese, delle 'ricostruzioni' in cera di organi malati, come un braccio, una mano, una gamba... erano depositate ai piedi della statua di un santo con l’implorazione di guarigione, un uso che ritroviamo in certe regioni della Bretagna e che potrebbe esser giunto in Puglia al seguito dei Normanni. Ancora in tempi recenti, nella Puglia come nelle altre regioni limitrofe, il raccolto dei favi di miele non era fatto dal proprietario degli alveari ma da un #pratticu#, un 'tecnico' ambulante che effettuava questo lavoro particolare nel periodo di buona luna contro una ricompensa in miele o in cera. In una stagione questo #pratticu# poteva intervenire su 1000/1500 bocche di api (arnie)." (BIBR: MASETTI, 2003)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Modulo informativo
  • AUTORE DELLA FOTOGRAFIA Ricchiuto, Ornella
    Ricchiuto, Giuseppe
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 16-ICCD_MODI_3122416492861
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi e Lecce
  • ENTE SCHEDATORE Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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