Marte e Venere con Cupido

dipinto, ca 1575 - ca 1580

Telaio di supporto a incastro (?) costituito da assi di legno perimetrali

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caliari Paolo Detto Paolo Veronese (1528/ 1588)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Secondo una recente segnalazione documentaria, il dipinto dovrebbe essere riconosciuto in quello registrato nella collezione romana del cardinale ferrarese Carlo Emanuele Pio di Savoia dal 1624 sino al 1724, quando era per l’ultima volta segnalato nel palazzo di Sant’Andrea della Valle con descrizione iconografica conforme e misure rispondenti con un lieve scarto di cm 2,5 rispetto al dipinto attualmente conservato nella Galleria Sabauda (cfr. Testa, 1994 part. pp. 95, 97 nota 34, 99, 198 e Guarino, 1994, p. 124). Immesso sul mercato antiquario internazionale, fu acquistato dall’avvocato Riccardo Gualino a Chicago nel 1924 da Potter Palmer e poi donato allo Stato italiano alla fine di quella decade. Non è invece certo che possa essere ancora riconosciuto in quello di soggetto analogo di provenienza Orsetti, veduto a Venezia da Carlo Ridolfi (1648/1914-1924, I, p. 340) e successivamente nominato fra le note d’acquisto effettuate a partire dal marzo 1768 da Faustino Lechi di Brescia (Lechi, 1968, p. 73). Infatti un altro elenco settecentesco della collezione bresciana alla voce n. 385 attesta la presenza di “Venere e Marte. Venere siede sopra un letto, con padiglione, e Marte le sta vicino in piedi. Un amorino tiene la briglia di un cavallo. Figure intere di un palmo. Su tela, al br. 1 ¼ X 1. Di proprietà del Sig. Cristoforo Orsetti invero pregiata pittura, autenticata con giuramento dall’Accademia di Venezia” (Lechi, p. 150, n. 385). Il dipinto così descritto non pare rispondente al formato - pressoché quadrato - di quello sabaudo, sebbene parte della critica non escluda che possa trattarsi dello stesso dipinto (cfr. Martin, 1999; Bava-Arnaldi di Bava, 2001). Inoltre Giuseppe e i fratelli Lechi vendettero poi la quadreria, sopravvissuta a un rovinoso saccheggio delle proprietà di famiglia nel 1799, a Richard Vickris Pryor nell’aprile 1802 (cfr. Lechi, pp. 91 e 150; Mason, part. pp. 141-145) ed é al momento solo ipotizzabile che il dipinto veronesiano fosse tra quelli superstiti. Pertanto allo stato attuale delle lacunose notizie rinvenute, la storia ottocentesca dei dipinti di provenienza Pio e Orsetti é ancora indistinguibile, così che non sono attualmente documentabili con certezza assoluta tutti i percorsi e i passaggi di proprietà riferibili alla tela acquisita dall’avvocato torinese nel secolo scorso (si veda Mason, note 98-100 pp. 144-145). Certamente la fortuna del soggetto veronesiano pare attestata tra le lagune - oltre che dalle due differenti redazioni del dipinto ricordate dalle fonti - anche dalla citazione del Cupido in un disegno a gessetti colorati con Venere e Amore di Hans Rottenhammer, realizzato a Venezia nel 1596 e oggi conservato presso lo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte (Martin, 1999, pp. 624-626 n. 193 e 644-645, n. 203). E' del resto testimoniata più in generale dalle coeve divagazioni di Paolo Fiammingo sulla pittura erotica dei grandi maestri veneti, che si direbbe ravvivata nella serie dei cosiddetti Amori del Kunsthistorisches Museum di Vienna realizzati probabilmente per Hans Fugger (Martin, 1999). Riguardo alla datazione la critica, assolutamente concorde nel sostenere l’autografia veronesiana, si è pronunciata per una fase medio-tarda ad eccezione di Rearick, il quale propende invece per un momento creativo contestuale al ciclo di affreschi di Villa Barbaro a Maser e anticipabile al 1561-62. Lo studioso sottolinea i debiti nei confronti di Correggio, Giulio Romano a Palazzo Te e dei Modi incisi da Marcantonio Raimondi nel 1527. Una datazione sospinta sino alla seconda metà degli anni settanta pare invece preferibile non soltanto sulla base dei più marcati cangiantismi cromatici dei panneggi e sul filo del confronto con l’ambientazione interna che contraddistingue anche il Mercurio, Erse e Aglauro del Fitzwilliam Museum di Cambridge, ma anche in ragione del confronto iconografico - oltre che stilistico - con le Allegorie londinesi e soprattutto con il Marte e Venere uniti da Amore del Metropolitan Museum of Art di New York, nel quale analogamente compare il cavallo imbrigliato e trattenuto. Tale referente simbolico, emblema per eccellenza della cultura aristocratica ingentilita dalla civiltà dotta e cortigiana, senza inficiare l’indiscutibile componente erotica del dipinto gli conferisce tuttavia una sfumatura allegorica e morale non esente da una sottile nota ironica. La sua inopportuna e irrealistica intrusione nello spazio destinato alla raffinata alcova, pare anzi accennare alla necessità di regolare la foga delle passioni e degli istinti amorosi secondo le virtù della continenza e della temperanza intesa in senso neo-umanistico (Gentili, 2005; Terribile, 2005)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100217088
  • NUMERO D'INVENTARIO 461
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2006
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2012
  • ISCRIZIONI retro del dipinto - PIO/ I. 199/ 263 - stampatello -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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