Paliotto dei sette santi. Sposalizio mistico di santa Caterina martire tra san Rustico, san Martino, santa Lucia, san Zeno e san Fermo

dossale ca 1320 - ca 1320

La tavola raffigura le nozze mistiche di santa Caterina martire, circondata da cinque santi, identificati grazie alle iscrizioni: Rustico, Martino, Lucia, Zeno e Fermo

  • OGGETTO dossale
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Maestro Del Redentore (sec. Xiv)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera entrò nelle collezioni civiche nel 1812, a seguito delle soppressioni di epoca napoleonica, dal monastero benedettino femminile di Santa Caterina martire (cfr. Avena 1907), da cui provengono anche la tavola con "Trenta storie della Bibbia" (inv. 108-1B0362) e la statua di "Santa Caterina" (inv. 6-4B0002). La scelta dei santi raffigurati epitoma le principali titolarità della chiesa, di cui poteva forse costituire l'altare maggiore trecentesco (De Marchi 2000, pp. 80-83; 2010, cat. 12): a san Martino (raffigurato in abito vescovile con in mano una brocca riversa nel gesto con cui spense miracolosamente un incendio, secondo una scelta rara per l'epoca) era intitolato originalmente il monastero, nominato San Martino di Corneto, dove le monache sono documentate a partire dal 1154 (solo dal 1197 è associata la dedicazione anche a santa Caterina martire, poi preminente; cfr. De Marchi 2000); la presenza dei santi Fermo e Rustico è dovuta al fatto che il cenobio dipendeva dall'omonima abbazia benedettina; santa Lucia era prediletta per le sue virtù eroiche dal monachesimo femminile; infine, san Zeno (qui senza il consueto pesce) è un ovvio riferimento al patrono cittadino. Impropriamente noto come "paliotto dei sette santi", è invece un dossale, costituito da un unico asse orizzontale, che era ingessato insieme alla cornice, ora divelta: sono così visibili le capocchie dei chiodi antichi (quattro sui due lati e uno a metà del bordo inferiore), che servivano ad ancorare una struttura retrostante di sostegno della pala (De Marchi 2000; 2010). Il dossale, assieme alla croce di San Luca, esprime il giottismo più arcaico ed espressivo del Maestro del Redentore, attivo a Verona tra il secondo e il quarto decennio del XIV secolo, e richiama molto da vicino gli esiti più alti della scultura veronese del primo Trecento, in particolare le opere del Maestro di Santa Anastasia, che condizionarono infatti la ricezione del giottismo a Verona (cfr. De Marchi 2004; Franco 2021, pp. 55-56, 75). Persino certi motivi decorativi sono gli stessi in tante sculture, ad esempio il fregio a triangoli nelle passamanerie, ma più in generale comune è l'iterazione di lunghe pieghe scanalate e la forza perentoria dei gesti. Il grande maestro esibisce un giottismo letterale, evidente nell'esercizio di scorcio nelle due figure di angeli che planano sopra santa Caterina, nello stacco delle labbra e nelle mani prensili della santa, nell'espressività dei volti di san Martino e di san Zeno. Vari sono i rimandi agli scorci emuli di Giotto a livello della cappella degli Scrovegni che a Verona solo il Maestro del Redentore seppe fare, specialmente nelle più antiche pitture dell'abside e del presbiterio di San Fermo maggiore, del 1314, o ancora nella successiva "Annunciazione" della stessa chiesa: il profilo pieno del volto di santa Caterina richiama quello del Battista nell'abside e dell'arcangelo Gabriele nell'"Annunciazione"; il leggero tre quarti del volto di san Zeno quelli di alcuni santi nei due intradossi del presbiterio. Un riscontro puntuale è offerto dall'andamento fitto e tubolare delle pieghe del velo sul capo della Madonna, che appartiene ancora alle primissime formulazioni di Giotto: ritroviamo tale sigla nella Madonna della "Deesis" absidale di San Fermo o nella "Sara" inclusa nel fregio sommitale della navata della chiesa francescana. Colpiscono però la persistenza di impacci spaziali e di elementi arcaici, come la formulazione puramente grafica dei pastorali di san Martino e di san Zeno e dei nimbi, le puntinature bianche sulle corone di retaggio ancora bizantino, l'ornato geometrico in oro a missione steso sopra le vesti più ricche. Molte sono le preziosità materiche qui esibite: l'uso di vernici traslucide, gli speroncini dorati di san Fermo, l'anellino che il bambino sta infilando a santa Caterina, decorato con un rubino sopra una scheggia d'oro. L'evidenza naturalistica di alcuni oggetti è esaltata al massimo, come si può notare nei guanti flosci di san Fermo, nella cuffia annodata sotto il mento dello stesso santo e nell'effetto di barba mal rasata sul volto di san Martino (De Marchi 2000; 2010)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715113
  • NUMERO D'INVENTARIO 141
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • ISCRIZIONI sul piano di posa - S(ANCTUS) F(I)RM(US) - caratteri gotici -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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