San Bernardino. San Bernardino
polittico dipinto
1470 - 1481
Morone Domenico (1440 Ca./ Post 1517)
1440 ca./ post 1517
Il dipinto raffigura san Bernardino da Siena a mezzo busto volto a sinistra. Il santo regge con la mano sinistra il disco con il monogramma cristologico, mentre con la destra indica verso l'alto
- OGGETTO polittico dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Morone Domenico (1440 Ca./ Post 1517)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Le tavole con i santi "Francesco" (inv. 180-1B344) e "Bernardino", pur mostrando il supporto malamente ritagliato, presentano misure in larghezza simili nei valori a quelle della coppia con i santi "Bartolomeo" (inv. 182-1B0399) e "Rocco" (inv. 183-1B0400) e ne condividono le stesse vicende storiche da quando Dalla Rosa li elencò nel 1812, al momento della demaniazione. Giuseppe Gerola (1909 circa) informa che «probabilmente in origine trattavasi di un polittico a comparti arcuati, composto di figure intere e mezze figure. Rimaneggiato più tardi, le figure di S. Francesco e di S. Bernardino furono completate pur esse, e l’altare ridotto a quattro scomparti eguali. Tale era l’insieme al suo ingresso in Museo nel 1812. Nei restauri del 1857, i due santi vennero restituiti a mezze figure, e convertiti in forma rettangolare, utilizzando quello stesso legname che doveva essere appartenuto ad altra parte del polittico originale e di cui il posteriore rimaneggiatore si era servito a sua volta per allungare i due santi». Ancora nel "Processo verbale" del 5 maggio 1857 si ricorda che «S. Francesco è difettato sotto la bocca a sinistra e al collo alla dritta, con gran parte dell’abito verso il fine […] Il S. Bernardino ha coroso mezo occhio dritto e parte del naso e altra abbresione nella guancia; le mani qualche piccola menda, l’abito poi fu quasi tutto ritocco». Il tutto fu poi risistemato nel restauro di Attilio Motta del 1908. La presenza di due santi francescani nell’ordine superiore di un ipotetico polittico resta tuttavia ancora da giustificare. Nel loro caso l’attribuzione a Domenico Morone è parsa più scoperta, più legata ai successivi sviluppi linguistici e stilistici del pittore. La figura di san Francesco, pur nella grande astrazione e nell’estremo rigore espressivo, appare infatti l’archetipo di tutte le figure monastiche successivamente uscite dal pennello di Domenico. Il san Bernardino, nelle pieghe rugose e nelle imperfezioni del volto, registra invece un iperrealismo necrofilo probabilmente legato a qualche ritratto ufficiale del santo, da non molto defunto, e a una volontà precisa quasi sicuramente espressa dalla committenza. Analoghe osservazioni si possono fare sul suo sguardo lamentosamente patetico e sul gesto ammonitore, corde quasi mai più toccate dal riservato pittore, certo all’opposto dell’altra e ferma icona del santo fondatore. Qui Domenico arriva a tracciare le rughe della vecchiaia persino sul palmo della mano alzata del santo. Bernardino da Siena era stato almeno tre volte a Verona, l’ultima delle quali nel 1444, e aveva avuto relazioni con illustri veronesi come Guarino Guarini e Giannicola Salerni. Nel 1450 era stato canonizzato santo. Nel 1450 si decise anche l’inizio della nuova chiesa francescana veronese a lui intitolata, che tuttavia non risulta ancora completata nel 1466. La figura del santo era quindi allora ‘moderna’ e attualissima. Secondo Sergio Marinelli (2010, pp. 260-261), i legami stilistici delle due tavole con "San Francesco" e "San Bernardino" con la cassa dell’organo di San Bernardino, per quanto di questa si può vedere nell’attuale stato di conservazione, sembrano abbastanza evidenti. Se l’organo è effettivamente del 1481, come pare documentato, le tavole dovrebbero essere precedenti, da collocare indietro tra questa data e l’ipotetico 1470 dell’affresco dell’Ospedale del Corpus Domini (inv. 1267-1B0564). Resta l’impressione almeno di uno scarto cronologico tra le figure del registro inferiore, apparentemente più arcaiche, e quelle del registro superiore, oppure anche soltanto psicologico, se fu quello il momento del passaggio tra il Domenico Morone furioso ed eroico e quello pacato e devozionale che si affermerà negli anni successivi. La descrizione pur minimale di Lanceni (1720) fa intuire almeno la situazione della piccola chiesa di San Clemente prima del riassetto tardosettecentesco, con l’introduzione del ciclo pittorico di Ugolini: «In questa Chiesa sopra l’arco della Cappella Maggiore, a fresco la SS. Annunziata. Ne’ due Altari a mezza Chiesa, le Pale sono una di Domenico, e l’altra di Felice Brusasorzi». Sull’altar maggiore Lanceni non descrive nulla, o perché vi era il polittico, che non nomina come le altre cose di quell’epoca, che non conosceva o non gli interessavano, oppure perché esso era già stato rimosso. (da Sergio Marinelli 2010, pp. 260-261)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715200
- NUMERO D'INVENTARIO 181
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0