Allegoria della Dialettica. allegoria della Dialettica

dipinto murale ca 1520 - ca 1525

Entro un tondo incorniciato da un festone di foglie e frutta, è raffigurato il busto frontale di una donna, l'allegoria della Dialettica, la quale regge con la mano sinistra un oggetto a forma di cigno

  • OGGETTO dipinto murale
  • MATERIA E TECNICA intonaco/ pittura a affresco
  • ATTRIBUZIONI Giolfino Nicola (1476/ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Un’ampia documentazione, conservata presso l’Archivio del Museo di Castelvecchio (anno 1873) e l’Archivio di Stato di Verona (Archivio del Comune, 1873-1874, serie XXII/13), consente di conoscere la provenienza di questi affreschi e di ricostruire le vicende relative al loro trasferimento al Museo. In una lettera inviata il 2 maggio 1873 dal Municipio al conservatore del Museo civico, Carlo Alessandri, si comunica che, nel corso dei lavori di trasformazione dell’ex caserma austriaca di San Nicolò in edificio scolastico, erano affiorate alcune pitture a fresco di ottima qualità, attribuite da taluni intenditori a Caroto e da altri a Cavazzola. Il 27 maggio Pietro Nanin, che per primo riconobbe negli affreschi «un capolavoro di Nicolò Giolfino», si impegnò a staccare e a trasportare al Museo l’intero complesso, costituito da sei medaglioni e da un altro frammento mutilato. Dai documenti citati non è però possibile stabilire, né la sequenza originale delle pitture, né perché queste siano descritte prima dello stacco come «tablò rotondi di dimensione circa un metro quadrato», mentre attualmente soltanto quattro corrispondono a tali caratteristiche. È probabile che in quest’occasione, malgrado le ripetute assicurazioni fornite da Alessandri e Nanin, non nuovi a interventi arbitrari del genere (Magagnato 1973a), gli affreschi abbiano subito pesanti manomissioni e il rifacimento di alcune parti mancanti, come documentano le fotografie precedenti il restauro eseguito da Giovanni Pedrocco nel 1960. La decorazione cinquecentesca scoperta in una «casetta» annessa al convento di San Nicolò, poi trasformato in caserma di Cavalleria, non può essere stata eseguita per il convento stesso, ma per uno degli edifici limitrofi acquistati dai teatini tra il 1622 e il 1625 e da questi incorporati nel nuovo complesso edilizio iniziato nel 1627 (Sandrini 1987, p. 18). Quasi certamente, la casa in questione era tra quelle appartenenti alla famiglia Prandini, un ramo della quale si trasferì agli inizi del Cinquecento nella contrada di San Nicolò, spostandosi qui dall’attiguo quartiere di San Quirico, dove la loro presenza è documentata intorno alla metà del Quattrocento. I committenti degli affreschi dovrebbero allora essere identificabili con i giureconsulti Filippo di Giacomo Prandini e suo nipote Alessandro di Bartolomeo, registrati in San Nicolò a partire dal 1517 (ASVr, Comune, Anagrafi, reg. 829), nella cui abitazione Nicola Giolfino venne chiamato nel 1526 a valutare, assieme a Francesco Torbido e Pier Leonardo Cicogna, alcune pitture eseguitevi dal collega Nicolò Crollalanza (Da Re 1907). Quanto al soggetto del ciclo decorativo è possibile riconoscervi la raffigurazione delle sette “Arti liberali”, secondo l’iconografia fissata nel V secolo d.C. dal grammatico Marziano Capella nel “De nuptiis Mercurii et Philologiae”. Un’ulteriore conferma a questa interpretazione viene offerta dal confronto con un disegno dello stesso Giolfino, raffigurante appunto le sette “Arti liberali” entro semplici medaglioni privi di cornici decorative e corredate da appunti relativi ai loro specifici attributi (Repetto 1990). Il disegno, già nella collezione Bloch e acquistato nel 2004 dallo Stato francese per il Département des Arts Graphiques del Louvre, è ritenuto da Mullaly (1971) lo studio preparatorio per un ciclo pittorico finora non identificato né altrimenti documentabile, mentre per Cordellier (2005) si tratterebbe di un primo progetto, poi modificato, degli affreschi stessi, realizzato intorno al 1520. Se l’attribuzione non è stata messa in dubbio, controversa è invece la loro cronologia, come del resto accade per molti altri dipinti di Giolfino, nella cui produzione queste pitture costituiscono in qualche modo una presenza anomala, avvertita da Avena (1947) nei volti insolitamente tondeggianti e ingentiliti da un colore «limpido e trasparente, con delicatezze che arieggiano talvolta Francesco Morone, tal’altra Girolamo Dai Libri». Scartata come troppo precoce la datazione alla fine del Quattrocento proposta da Schweikhart (1973), tra le prime opere dell’artista le ritengono Deswarte (1990), che vi rileva la presenza di forti tangenze tedesche, e Lucco (1991; 1993), che le colloca intorno al 1510, in prossimità della “Pala de’ Caliari” e della “Madonna dei gelsomini”, più per la tipologia dei costumi femminili che per i legami con la pittura di Liberale rilevati da Venturi (1915) e Avena (1937a). D’altro canto, gli affreschi da San Nicolò sono da considerare successivi anche al 1517 quando Filippo, residente a San Quirico nel 1493, alla Fratta nel 1502 e a Ferraboi nel 1514, si trasferì definitivamente nella contrada di San Nicolò assieme al nipote Alessandro. Alla luce di queste considerazioni, Marina Repetto Contaldo (2010, pp. 381-383) confermava una datazione ai primi anni del terzo decennio (Repetto 1990; Serafini 2000; Cordellier 2005).||||(da Marina Repetto Contaldo 2010, pp. 381-383)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715224
  • NUMERO D'INVENTARIO 1320
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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