Cristo dei dolori e i santi Bernardino, Francesco, Antonio di Padova e Chiara. Cristo dei dolori e i santi Bernardino, Francesco, Antonio di Padova e Chiara

dipinto ca 1525 - ca 1525

La pala, tagliata in due parti, rappresenta, nella parte superiore (inv. 1B0325), la Madonna in gloria tra santi Giuseppe e Maddalena, quest'ultima con il vaso d'unguenti. Nella parte inferiore (inv. 1B0262), i santi Bernardino con il monogramma di Cristo, Francesco con il crocifisso, Antonio di Padova con un libro e un giglio e Chiara con l'ostensorio; alle loro spalle al centro Cristo dei dolori

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il 22 luglio 1511 un breve di Giulio II autorizzava la fondazione a Isola della Scala, un grosso borgo della pianura veronese, di un convento e di una chiesa destinati ad accogliere una piccola comunità di frati dell’osservanza francescana, sull’area dell’ormai abbandonato ospedale di Santa Maria Maddalena. La costruzione del complesso monastico doveva essere a buon punto nel settembre 1519, quando, nel suo testamento, il nobile veronese Bartolomeo Giuliari lasciava dieci ducati da spendere nella fusione di una campana (Chiappa 2002, p. 140). Gli anni successivi videro certamente la chiesa arricchirsi di altari e pale, ma i documenti d’archivio non offrono in merito nessuna informazione utile. Per ottenere qualche lume bisogna attendere la "Ricreazione Pittorica" di Lanceni, che ricorda «all’Altare Maggiore, quattro Santi della Religione loro, in alto la Vergine. Opera di Francesco Morone» (1720, p. 92). Quasi alle stesse parole ricorse, nel 1752, Giambattista Biancolini. Ma quando, dopo le soppressioni napoleoniche del 1806, la pala venne destinata alla Pinacoteca comunale, essa vi giunse già divisa «in due pezzi» (Avena 1907, p. 60). Al momento del distacco fu probabilmente sacrificata una fascia di qualche decina di centimetri che raccordava le due parti. Il nome di Francesco Morone, ribadito da Saverio Dalla Rosa nell’"Elenco dei pezzi di pittura e stampe" consegnati dal Demanio al podestà di Verona il 26 ottobre 1812, venne sostituito nei cataloghi successivi del Museo e nella letteratura novecentesca da quello più appropriato di Giovan Francesco Caroto. Una certa prudenza (Franco Fiorio 1971, p. 108) è dovuta semmai al pessimo stato di conservazione di entrambe le tele. Già Bernasconi lamentava che la superiore fosse stata «guastata da un’antica bestiale pulitura» (1864, p. 296). Un verbale manoscritto dell’agosto 1861 la descrive «in cattivo stato, essendo stata lavata in gran parte sino al vedersi la tela, e rottolata senza cilindro per cui ha nove pieghe traversali a tutto quadro». Ma non erano migliori le condizioni della parte inferiore, con «il Cristo tutto fregato sino alla tela», così come le teste di sant’Antonio e di santa Chiara, «con sette verghature traversali» e molte abrasioni sparse. La separazione fisica delle tele ha portato col tempo all’oblio della loro storia, di come esse in origine costituissero un’unica macchina pittorica, cosicché si era potuta proporre per la parte inferiore un'attribuzione al vecchio Domenico Morone (Eberhardt 1974, p. 98), ipotesi peraltro accolta con favore dalla critica successiva (Marinelli 1987; Marinelli 1996; Guzzo 2002). Ma essa è smentita, oltre che dalle misure dei due pezzi, anche dai dati tecnici emersi nei restauri, eseguiti in tempi e da operatori diversi. In entrambi i casi è risultato che le opere sono state dipinte a tempera (ma con presenza anche di leganti oleosi) su una tela a trama molto fitta tessuta «ad armatura», sulla quale è stesa, secondo la prassi consueta di Caroto, una sottilissima preparazione a gesso e colla. Inoltre, il restauro più recente ha riportato alla luce quei colori luminosi e freddi che sono caratteristici delle opere dipinte intorno al 1530, come la "Lavanda dei piedi" o la "Tentazione di Cristo". Su questa partitura cromatica semplice e sobria, tutta giocata sui grigi, sugli azzurri, sui bruni, il pittore ama staccare talvolta le campiture squillanti dei rossi – il manto della Maddalena, la veste del Cristo nella "Tentazione". Così l’impianto lineare della composizione, la sua estrema sintesi grafica - nei panneggi, nel disegno preparatorio svelato dalle riflettografie - sono ancora un retaggio della formazione quattrocentesca di Caroto e porteranno con il tempo ad un'astrazione formale quasi metafisica, come nel tardo "San Martino e il povero" in Sant'Anastasia. La grande ancona così ricomposta, costruita sulla giustapposizione tra la gloria celeste, dove un vortice di nuvole accoglie la sacra famiglia e la santa titolare della chiesa, e un registro inferiore saldamente ancorato al suolo, sul quale posano monumentali e simmetrici quattro santi dell'ordine, replica, semplificandola, la struttura della pala dipinta da Paolo Morando nel 1522 per i minori osservanti di San Bernardino (n. inv. 1410-1B335), probabilmente su esplicita richiesta dei confratelli di Isola della Scala. Secondo la ricostruzione proposta da Gianni Peretti (2010, p. 400), questa data è un sicuro termine post quem per la sua esecuzione e offre un ulteriore argomento per confutare un'attribuzione, anche parziale, a Domenico Morone, che morì quasi ottuagenario poco dopo il 1517. Proprio la fedeltà un po' pedestre al prototipo di Morando suggerisce di non allontanarne troppo la datazione, che dovrebbe cadere verso il 1525. (da Gianni Peretti 2010, p. 400)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717688
  • NUMERO D'INVENTARIO 1368
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

ALTRE OPERE DELLO STESSO AUTORE - Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)

ALTRE OPERE DELLO STESSO PERIODO - ca 1525 - ca 1525

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'