Autoritratto con la moglie Placida. Autoritratto con la moglie Placida

dipinto ca 1530 - ca 1534

Il dipinto raffigura Giovanni Caroto, ritratto insieme alla moglie Placida a figura quasi intera e di trequarti a destra. La donna ha le mani giunte in preghiera e indossa un lungo velo chiaro, mentre lui ha una folta barba scura e le mani incrociate sul petto

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni (1488 Ca./ 1566 Ca)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il doppio ritratto è tradizionalmente riconosciuto come frammento di una pala d’altare ricordata da Vasari nella cappella dei Caroto in Santa Maria in Organo: «dipinse costui [Giovanni] la suddetta tavola della capella di San Nicolò, dove è la Madonna sopra le nuvole, e da basso fece il suo ritratto di naturale e quello della Placida sua moglie». Con il restauro del 1980, che ha confermato trattarsi di un frammento, è ricomparsa in alto a sinistra anche la traccia di una gamba che doveva appartenere a un angelo in gloria e parti di un paesaggio azzurro e una casa con alberi, nonché un pentimento del pittore affiorante sotto il velo della moglie. La precisazione su altri elementi della composizione, ovvero la presenza di un san Nicolò e di un altro santo, fu fornita da Bartolomeo Dal Pozzo poco prima che la pala fosse sostituita con la più moderna di Felice Torelli (Roli 1978, p. 210 n. 149, fig. 170), in occasione della costruzione del nuovo altare marmoreo per la cappella voluto dall’Arte dei Radaroli nel 1727. La sfortunata pala fu poi danneggiata da un incendio; nel 1819 la sola parte con l’autoritratto dell’artista accanto alla moglie ricomparve prima tra i trentuno pezzi della quadreria di Luigi Bordoni offerti in vendita da Saverio Dalla Rosa al conte bresciano Teodoro Lechi in una lettera del 4 febbraio, poi tra gli oltre duecento dipinti in vendita presso Luigi Lazzaro Anselmi, uno sconosciuto personaggio che sembra essersi limitato ad agire da intermediario nella vendita della collezione Bordoni. Si sa che infatti le famiglie Bordoni e Anselmi abitavano in case contigue nella contrada di San Paolo (Guzzo 1995-1996, pp. 392-393). Tra i febbrili movimenti del mercato artistico veronese di primo Ottocento, un altro brano della pala perduta è forse individuabile in un dipinto inventariato nella collezione di Francesco Caldana nel 1822: «Di Giovanni Caroto. S. Giovanni, testa bellissima, frammento di pala» (Guzzo 1992-1993, p. 489 n. 69). È probabile che la composizione originaria fosse quindi una “Madonna in gloria con i santi Nicolò, Giovanni” – omonimo del pittore – e i ritratti dei due consorti oranti (Rossi 2010, pp. 410-411). La celebrità dell’opera si mantenne costante dai tempi di Vasari a quelli della ricomparsa ottocentesca del frammento, tanto che la stima del pezzo suggerita da Agostino Ugolini a Dalla Rosa per la vendita al conte Lechi fu di ben duecento napoleoni d’argento, una cifra piuttosto alta, anche tenendo conto delle mediocri condizioni conservative in cui doveva presentarsi la pittura dopo l’incendio. Tanta fortuna dipese certamente anche dal fatto che la pala era legata alla storia privata dell’artista, essendo stata da lui realizzata per la cappella di famiglia, per ricordare la sua unione con Placida da Vigasio, sua sposa nel 1520, ma anche per lasciare un particolare ricordo agli olivetani, con i quali aveva mantenuto duraturi legami (Marinelli ricorda anche che un fratello di Placida era frate e un altro amministratore dello stesso monastero, mentre uno zio di Giovanni era cappellano di Santa Maria in Organo; 2020, p. 176). Recentemente, Sergio Marinelli (2020) ha proposto di posticipare la datazione dell’opera rispetto a quanto proposto da Francesca Rossi che, sulla scia dell’indicazione di Franco Fiorio, datava l'opera attorno al 1525. Tenendo conto della datazione della medaglia giovanile raffigurante Giovanni imberbe, lo studioso ha ritenuto più opportuno collocare la realizzazione verso gli anni trenta, staccandola dalla data del matrimonio. La tela si avvicinerebbe, pertanto, agli affreschi con gli “Arcangeli Michele e Raffaele” all’esterno della cappella Fumanelli e il “Ritratto di fra Giovanni” sopra la porta della sacrestia, pagati dai monaci a Giovanni nel 1530. Oltre a questi, l’attendibile biografia di Vasari documenta una vera e propria specializzazione del pittore nella ritrattistica quando si sofferma a nominare diversi notabili veronesi da lui effigiati, da Laura Schioppo a Marcantonio e Giulio Della Torre, al monaco olivetano Cipriano Cipriani, un’attitudine riscontrabile fin dalle bellissime figure del vescovo e del committente nella giovanile pala del Museo Canonicale, di incisività psicologica paragonabile, secondo Francesca Rossi (2010) a quella di un Cavazzola ma già accostabile a modi veneti savoldeschi, e negli altri ritratti, per lo più a figura singola, a lui riconosciuti, il “Monaco benedettino” di Princeton, University Art Museum, e l’olivetano “Bartolomeo Martini” dell’Accademia Tadini di Lovere. Malgrado la materia pittorica impoverita, nel doppio ritratto di Castelvecchio si apprezza ancora la perizia tecnica ed espressiva dell’artista nell’affiancare le due figure di scorcio, leggermente di tre quarti, assorte in contemplazione con le robuste mani raccolte in preghiera. Un’immagine di solido realismo che si accosta alla sensibilità giorgionesca irradiata da Venezia da artisti come Torbido e Savoldo.||||(da Francesca Rossi 2010, pp. 410-411)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717781
  • NUMERO D'INVENTARIO 1347
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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