Tentazione di Cristo. Tentazione di Cristo

dipinto ca 1530 - ca 1534

Il dipinto raffigura Gesù, al centro, e Satana a sinistra nell'atto di fuggire. In alto al centro, un cartiglio recante un'iscrizione e, ai lati, due angeli. Sullo sfondo, un paesaggio con la città di Verona

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Dai tempi del legato al museo la fortuna critica del dipinto è avanzata in parallelo a quella dell’“Arcangelo Michele che caccia Lucifero” (n. inv. 1363-1B0154) giunto anch’esso dalla collezione Bernasconi. Per corrispondenze stilistiche, iconografiche e di formato si è suggerito che i due dipinti potessero appartenere a una serie di tele realizzate per la decorazione di palazzo Della Torre, insieme a un altro “Arcangelo Michele” conservato allo Szépmuvészeti Múzeum di Budapest (inv. 1043, cm 86 x 127,5; Tátrai 1991, p. 20), raffigurante un modello molto simile a quello utilizzato per l’angelo di sinistra nella scena della “Tentazione”. L’individuazione della provenienza originaria delle tele dal palazzo della Torre nella contrada Sant’Egidio, all’epoca di Caroto appartenente al marchese Giulio Della Torre e nell’Ottocento passato alla famiglia Da Persico, è stata suggerita da Gianni Peretti (2000) sulla base della vicenda collezionistica della tela di Budapest, custodita appunto in palazzo Da Persico fino all’Ottocento. L’ipotesi è confermata dalla scoperta di Hans-Joachim Eberhardt (2008, pp. 325-344) di un quarto pezzo con la “Verità figlia del tempo” (già collezione del conte Pietro Arvedi d’Emilei, e donata nel 2019 al Museo di Castelvecchio da Ferruccio Arvedi inv. 50974-1B4173). In questa tela, le figure ripropongono gli scorci vertiginosi nello spazio aereo, i muscoli tesi, le torsioni e le gambe sforbicianti degli angeli nei dipinti di Verona e di Budapest. Che si trattasse della decorazione di uno studiolo, con l’ottagono a centro soffitto e le tele rettangolari lateralmente, è verosimile anche considerando che un ambiente del genere all’interno del palazzo è ricordato nel 1571 come appartenente a Girolamo Della Torre, figlio di Giulio e preposito del vescovo Giovan Matteo Giberti. Il programma iconografico riproduce un’insolita commistione tra temi biblici e della mitologia profana volti a illustrare il concetto della lotta tra il bene e il male, coerenti con la cultura umanistica del committente tesa a promuovere una «conciliazione tra filosofia classica e messaggio cristiano», come è stato detto a proposito del “De felicitate ad Paulinam sororem” di Giulio Della Torre, stampato nel 1531 (Marchi 1980, p. 9). Come indicato da Francesca Rossi (2010, pp. 405-406), va ricordato che nello stesso palazzo, esisteva un’altra opera di Caroto, l’affresco con il “Padre eterno e le sette Virtù”, dotato di un’epigrafe del 1524 che celebrava l’amicizia tra Giovan Francesco e Giulio Della Torre (Pietropoli 2002, pp. 61-61; Eberhardt 2008, pp. 329-330). Per quanto riguarda la datazione delle tele, sicuramente posteriori all’affresco, si è proposta una collocazione entro la prima metà degli anni trenta, in prossimità alle opere altrettanto romanizzanti della “Sacra famiglia” proveniente dalla collezione Righi (n. inv. 1371-1B0114) e della “Resurrezione di Lazzaro” del Palazzo Vescovile di Verona (Franco Fiorio 1971, p. 97 n. 41, fig. 58), datati 1531. La scena del Cristo tentato si svolge in uno spazio che sviluppa, alle spalle dei personaggi, una veduta di Verona attraversata dal fiume ed estesa al vicino lago di Garda. Teatro della scena è il locale monte Baldo, luogo nient’affatto ordinario nel Cinquecento, celebrato e frequentato dai naturalisti italiani e nordici – lo «speziale» Caroto compreso – per la sua ricchezza di rarità botaniche. L’occhio dell'osservatore è indotto a muoversi continuamente dall’astrazione formale esibita nelle pose accademiche, come bloccate in una materia da plastica scultorea, delle quattro figure di Cristo, Lucifero e i due angeli, alla dimensione naturalistica del paesaggio di sfondo, dove la ricerca degli effetti atmosferici tramite un abile uso dello sfumato si unisce alla precisione descrittiva di particolari rappresentativi della città. Tutta l’immagine è filtrata dall’elaborazione intellettuale dell’artista, intento a dimostrare la sua capacità di sintetizzare i più virtuosi modelli nel campo della figura e in quello della paesaggistica, guardando ad artisti fiamminghi all’epoca ben conosciuti, chi per la circolazione di dipinti, come Joachim Patinir, precursore del paesaggio puro nelle Fiandre, chi per viaggi documentati, come Jan van Scorel e Herri met de Bles detto il Civetta, questi ultimi fautori di una sostanziale continuità stilistica con l’opera di Patinir (Rossi 2010; Peretti 2020, p. 146). Nella veduta, Caroto sembra aver operato una commistione di elementi derivati dalla pittura dei tre maestri nordici: si avvicina alla tavolozza di Patinir nelle campiture più scure e contrastate di azzurri, grigi e bruni dei primi piani; a quella di Civetta nelle tonalità schiarite, trasparenti e lattiginose delle zone lontane; alle aperture grandangolari di opere di Scorel risalenti ai viaggi tra Venezia e Roma negli anni venti (si veda la "Sommersione del faraone", Milano, collezione privata; Brown 1999, pp. 462-463 n. 125). ||||(da Francesca Rossi 2010, pp. 405-406)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717786
  • NUMERO D'INVENTARIO 1362
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • ISCRIZIONI sul cartiglio al centro - VADE SATHANA SCR[IPTUM EST] / DOMINVM D[EUM] TVVM ADORA[BIS] - capitale -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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