Sacra famiglia, santa Elisabetta e san Giovannino. Sacra famiglia, santa Elisabetta e san Giovannino
dipinto
1531 - 1531
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
1480 ca./ 1555
Il dipinto raffigura la Madonna inginocchiata su un prato con Gesù bambino e san Giovannino tra le braccia. Alle spalle della Vergine, si riconoscono san Giuseppe con un angelo, a sinistra, e sant'Elisabetta, a destra
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Cesare Bernasconi acquistò il dipinto dalla famiglia Righi prima del 1842, quando è già segnalato nella sua collezione dalla guida di Verona di Giuseppe Bennassuti (p. 98). Nel catalogo a stampa del 1851 esso è riprodotto in una tavola di Lorenzo Muttoni. Pochi anni dopo, nel novembre 1855, fu visto da Otto Mündler, che stava setacciando l’Italia alla ricerca di quadri per la National Gallery di Londra. Tra le «several interesting pictures in the Upper Gallery, but most of these greatly injured», il conoscitore tedesco appuntò la sua attenzione sul “San Rocco” di Paolo Morando, che la galleria londinese riuscirà ad ottenere solo nel 1864, e su questa “Sacra famiglia”, «remarkable for the extraordinary severity of the characters and the force of colouring, which makes it appear hard & crude» (ed. 1985, p. 84). Scampato il pericolo di emigrare in Inghilterra, nel 1871 il dipinto entrò nelle collezioni civiche con tutta la quadreria di Bernasconi, ricca di ben 243 pezzi. La firma e la data ne hanno sempre fatto un’opera chiave nel percorso evolutivo di Caroto. Sono gli anni in cui è più evidente – negli scorci, nelle torsioni, nello sbalzo plastico delle figure – l’influsso del linguaggio figurativo elaborato a Roma nel secondo decennio del Cinquecento. Se nella “Resurrezione di Lazzaro” dipinta per il vescovo di Verona Gian Matteo Giberti, anch’essa datata 1531, si palesa l’omaggio alla pala di analogo soggetto realizzata da Sebastiano del Piombo per il cardinale Giulio de’ Medici (di cui Giberti era stato uno stretto collaboratore), qui è più esplicito il richiamo a Raffaello e, nell’anatomia esasperata dei putti, a Michelangelo. Gli stessi elementi di cultura, arricchiti da un nuovo interesse per il paesaggio fiammingo, ritornano in opere contemporanee come la “Tentazione di Cristo” e l’”Arcangelo Michele caccia Lucifero” di Castelvecchio (nn. inv. 1362-1B0112; 1363-1B0154), o l’”Arcangelo Michele” dello Szépmuvészeti Múzeum di Budapest, una serie di tele provenienti probabilmente dal palazzo del marchese Giulio della Torre, che dell’azione riformatrice del vescovo veronese era stato un aperto sostenitore (Peretti 2000, p. 106). Su tutti aleggia l’ombra di Giulio Romano, «amicissimo» di Giberti, come afferma Vasari, che narra anche del gran rifiuto opposto da Caroto alla richiesta del vescovo di dipingere l’abside del duomo valendosi dei cartoni di Giulio. L’artista aveva già dato prova di padroneggiare il nuovo linguaggio, e con il suo orgoglioso diniego protestava di non aver bisogno dell’imbeccata d’altri (Peretti 2010, p. 404). Gli affreschi furono realizzati nel 1534 da Francesco Torbido. Nella tela veronese, Gianni Peretti (2020, p. 122) sottolineava in particolare la figura di Giuseppe, non più raffigurato come il giovane padre di famiglia in ansia per la sorte dei suoi cari, come nel “Riposo nella fuga in Egitto” del Louvre, ma un uomo d’età che, sopraffatto dalla fatica, si è appena appisolato, il capo pesante puntellato da una mano, poggia il gomito su un bassorilievo dove è scolpita una testa di profilo con un berretto frigio. Come suggerito in una comunicazione orale da Margherita Bolla e Fulvia Ciliberto, essa potrebbe derivare da un sarcofago paleocristiano con raffigurazione di re Magi barbati (la scena dell’adorazione dei Magi è molto frequente sui sarcofagi cristiani urbani, in particolare in età costantiniana), a loro volta ispirati alle figure di barbari orientali dell’arte romana. Una replica del dipinto, anch’essa firmata, è riemersa dalle gore del mercato antiquariale (Casa d’Aste Della Rocca, Torino, 10 dicembre 2002, lotto 165, tela, 122 x 98 cm; cfr. Cifani, Monetti 2003; ora Genova, Wannenes, 21 dicembre 2020). Il gruppo dei tre personaggi principali presenta poche varianti marginali (il velo e la veste della Madonna, il piccolo crocefisso appoggiato al corpo di Giovannino), mentre scompaiono il bassorilievo antico e le figure retrostanti, sostituiti da un vasto ma dubbio e sommario paesaggio lacustre, che si direbbe ridipinto e che comunque non possiede le qualità di trasparenza e limpidezza proprie di Caroto. (da Gianni Peretti 2010, p. 404)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717787
- NUMERO D'INVENTARIO 1371
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI a destra, sul plinto - FR. CAROTO / [M]DXXXI - capitale -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0