Lavanda dei piedi. Lavanda dei piedi
dipinto
ca 1530 - ca 1530
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
1480 ca./ 1555
Il dipinto raffigura, entro una stanza aperta nel fondo da due archi che affacciano su un paesaggio lacustre, Cristo in ginocchio tra due Apostoli seduti. In secondo piano, la tavola imbandita e gli altri Apostoli. In alto, la Madonna con il bambino e re David con un cartiglio recante un'iscrizione
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Nella Vita di Giovan Francesco Caroto, inserita nel più ampio capitolo dedicato agli artisti veronesi attivi tra Quattro e Cinquecento, Vasari ricorda, tra l’altro, che «a Isola, luogo in sul lago di Garda, dipinse due tavole [cioè due pale d’altare] nella chiesa de’ Zoccolanti». L’affermazione – che poggia senza dubbio su «quell’intero e perfetto ragguaglio» fornito a Vasari da fra Marco de’ Medici, il suo principale informatore di cose veronesi – si è rivelata assolutamente corretta. La prima è la pala che un tempo era collocata sull’altare maggiore, tagliata in due parti probabilmente all’inizio dell’Ottocento (n. inv. 1368-1B0325 e 1368-1B0262). La seconda è questa "Lavanda dei piedi", segnalata da Giambattista Lanceni «nell’ultimo Altare in fine di Chiesa» (1720, p. 92). Nel 1812, soppresso il convento e sconsacrata la chiesa, migrarono entrambe nelle collezioni civiche insieme ad altre due tele di Paolo Farinati e di Pietro Bernardi. Lo stato di conservazione, come è emerso nell’ultimo restauro, si può considerare discreto. Dipinto «conservatissimo» fin che rimase al suo posto, «in alcuna parte non finito», fu poi guastato secondo Da Persico dalla «balordaggine di chi lo trasportò ne’ depositi demaniali» (1820, p. 227). Un verbale del luglio 1861 descrive la tela «slavata e ritocca», con abrasioni e sfreghi sparsi un po’ su tutta la superficie, «il cielo e le nubi quasi tutto mancante». In quella occasione fu restaurata da Lorenzo Muttoni, pittore ed ispettore del museo. Sembra innegabile che in quest’opera così calibrata Caroto abbia tenuto presente la "Lavanda dei piedi" dipinta da Francesco Morone nei primi anni del Cinquecento per la cappella della Croce in San Bernardino (n. inv. 1439-1B0305). Lo confermano l’impianto modulare della scena, costruita in entrambi i dipinti sulle figure geometriche del cerchio e del quadrato (Marinelli 1987, p. 133), il singolare allineamento delle teste, la semplice ma eloquente segnaletica dei gesti e degli sguardi (si confrontino in particolare le due immagini del Cristo), ma anche particolari curiosi come l’aureola nera di Giuda. Tuttavia nella pala di Caroto i tre personaggi in primo piano si staccano ormai dal resto della composizione, e nello sbalzo plastico delle figure, nelle torsioni dei corpi rivelano l’aggiornamento linguistico sulle formule della ‘maniera moderna’, di cui il pittore, gran viaggiatore e curioso di ogni novità artistica, fu probabilmente il primo settatore a Verona. Relativamente al gruppo di personaggi in primo piano, si conserva anche un disegno di altissima qualità al Musée des Beaux-Arts di Digione (inv. Alb TH A3, f. 21) analizzato in prima battuta da Sergio Marinelli nel 2006 e ripreso dallo stesso studioso nel catalogo della mostra del 2020 dedicata a Caroto (Marinelli 2020, pp. 98-99). Tornando al dipinto di Castelvecchio, Gianni Peretti (2010, p. 402) notava che il paesaggio lacustre visibile oltre la bifora della parete di fondo, un monocromo tutto giocato sulle infinite modulazioni dell’azzurro, richiama immediatamente nella sua morfologia e nell’impaginazione centinata le vedute dipinte da Caroto sulle spalliere dei banchi di Santa Maria in Organo. Questi sei dossali, giustamente considerati la prima espressione autonoma della pittura di paesaggio nell’arte veronese, sono ancorati da puntuali riscontri d’archivio al 1530 (Franco Fiorio 1966, p. 42 nota 19), quindi in un momento di passaggio tra gli sfondi di paese del terzo decennio, in opere come "I tre arcangeli" o la "Santa Caterina d’Alessandria" (nn. inv. 1360-1B0343, 1391-1B0251), saturi di esperienze lombarde e veneziane; e un rinnovato interesse per il paesaggio fiammingo, per Civetta, per Patinier, soprattutto per Jan van Scorel, che Caroto dimostra fin dai primi anni del decennio successivo (per esempio nella "Tentazione di Cristo", n. inv. 1362-1B0112). Per tali motivi, Peretti proponeva per la "Lavanda dei piedi" una datazione intorno al 1530 o di poco precedente, sicuramente posteriore di qualche anno alla pala dell’altare maggiore. Analogie puntuali la stringono, inoltre, all’"Annunciazione" un tempo a villa Monga di San Pietro Incariano, che era datata 1528. (da Gianni Peretti 2010, p. 402)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717789
- NUMERO D'INVENTARIO 1342
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI in alto, nel cartiglio - LAVABIS ME / D[OMINE] ET SUP[ER] / NIVEM DE / ALBAB / OR - capitale -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0