consigliere

statua,

Gruppo scultoreo

  • OGGETTO statua
  • MATERIA E TECNICA MARMO BIANCO
  • ATTRIBUZIONI Tino Di Camaino (1285 Ca./ 1337): esecutore
  • LOCALIZZAZIONE Museo dell'Opera del Duomo
  • INDIRIZZO Piazza del Duomo, Pisa (PI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Non si hanno notizie precise delle statue fino a quando Lasinio le ritrovò incassate nei muri degli orti dell'Opera. La statua di Arrigo VII fu portata in Camposanto prima del 1816, raggiunta solo nel 1825 dagli altri quattro pezzi; il gruppo trovò collocazione nel corridoio est tra i sepolcri di Filippo Decio e del Buoncompagni. Già nella seconda metà del secolo scorso, forse per fare posto alla lapide in onore dell'architetto Alessandro della Gherardesca (1859), il gruppo venne spostato nella galleria nord tra le scene affrescate col "Passaggio del Mar Rosso" e la "Storia di Cara, Datan e Abiron". Qui rimase fino al 1935, quando venne trasferito nel Museo dell'Opera. Esposto alla mostra della scultura pisana del 1946-47, fece ritorno successivamente in Camposanto, dove venne collocato nel salone degli affreschi staccati; dal 1986 è conservati nel nuovo Museo dell'Opera del Duomo. Ritrovata da Lasinio negli "orti" dell'Opera, che si estendevano dagli edifici di questa alle mura della città, la statua dell'imperatore seduto entrò in Camposanto come raffigurazione di Federico I (commento all'incisione di Paolo Lasinio, Grassi) o di Arrigo VII (Da Morrona, Lasinio); i quattro personaggi che le vennero affiancati risultano indicati come "comitiva" o "consultori" (LASINIO 1814-25) e poi col nome di "consiglieri" (LASINI O 1831) col quale sono tradizionalmente noti. Al Bertaux (1899, 1902) si deve il collegamento delle cinque statue, già riferite da Lasinio a Nicola e Giovanni Pisano, con la tomba di Arrigo VII; riconoscendo nel gruppo una evidente celebrazione dell'imperatore e constatando che in Italia tali esaltazioni trovavano posto di regola nei sepolcri (Bertaux pensava agli esempi napoletani dello stesso Tino) lo studioso trovava logico ipotizzare che le statue avessero fatto parte di quella grandiosa tomba che Tino, la cui paternità gli sembrava evidente, aveva messo in opera nel 1315, secondo i documenti estesamente pubblicati qualche anno prima dal Trenta. La maggior parte della storiografia accetta, e anzi dà per scontata, l'appartenenza delle statue al complesso funebre dell'Imperatore, ritenendole poste in origine al di sopra della camera funebre contenente il giacente, come nelle ricostruzioni di Valentiner, Bauch, Kreytenberg, Dan. Il numero delle statue dei "consiglieri" si è successivamente accresciuto; nel 1934 Carli riconobbe in una testa di ecclesiastico conservata nei depositi dell'Opera del Duomo un autografo di Tino, frammento di un'altra statua delle stesse dimensioni originarie dei Consiglieri e appartenente verosimilmente allo stesso gruppo (oggi è esposta nel Museo dell'Opera accanto agli altri pezzi; non risulta aver mai fatto parte delle collezioni di Camposanto). La scoperta di una quinta figura implica, per ragioni di simmetria compositiva, la presenza originaria di una sesta statua; recentemente Tigler e Passavant hanno proposto di riconoscerne un frammento in una testa conservata alla Villa Reale di Marlia, che presenta in effetti alcuni caratteri tineschi, ma che appare troppo corrosa per poter essere giustamente valutata. Un gruppo consistente di studiosi (SUPINO 1904, BACCI 1921, CARLI 1934a,1935a, 1967, MASCI OTTA 1966) ha però rifiutato l'ipotesi, proponendo per il gruppo, unanimemente considerato tinesco (ma non dal Bacci), una cronologia anteriore alla tomba, fra il 1312 e il 1313, e una sua diversa collocazione. In particolare è stata avanzata l'ipotesi che le statue siano state eseguite da Tino dopo il primo soggiorno di Arrigo a Pisa per adornare un arco trionfale ovvero la porta attraverso la quale l'imperatore avrebbe effettuato il suo rientro nella città per il suo ultimo soggiorno, nel 1313. Contro questa pur suggestiva ipotesi è facile obiettare che di questo omaggio non v'è traccia nelle cronache; resterebbe difficile da spiegare, inoltre, la presenza successiva delle figure negli "orti" dell'Opera, che depone a favore di una provenienza dal monumento imperiale (v. le considerazioni riassuntive di CARLI1 986). La ricerca di una possibile pertinenza diversa evidenzia comunque le difficoltà di valutazione del gruppo incontrate dalla storiografia all'interno della disputa sulla conformazione originaria della tomba di Arrigo e sulla sua autografia. Le stesse statue in questione sono state variamente considerate sia come opere debolissime e goffissime, per alcuni neppure tinesche (Bacci parla di esecuzione frettolosa di" marmorari dell'Opera"), sia come esempi tipici e altissimi dell'arte di Tino (Valentiner, Cadi). Molti hanno invece cercato di distinguere tra parti autografe e di bottega; recentemente Kreytenberg (1984a, 1986) ha riferito i consiglieri all'intervento collaborativo del supposto Lupo di Francesco. Su questo punto ci limitiamo a richiamare quanto già osservato (09/00235629); dai documenti si rileva con chiarezza che Tino ebbe modo di dirigere totalmente l'esecuzione dell'intero monumento. Qualora si potesse definitivamente dimostrare la pertinenza delle statue alla tomba imperiale, ne andrebbe rivalutata l'autografia rinesca, in quanto opere eseguite all'interno della sua bottega, sotto la sua direzione. L'identificazione dei personaggi del seguito imperiale appare tuttora incerta. La proposta più nota è stata avanzata da Valentiner (1935) relativamente alle quattro figure da lui conosciute. L'ecclesiastico sarebbe, come pensava già Lasinio, fra' Bernardino da Montepulciano, confessore dell'Imperatore (indicato peraltro da alcune cronache come il suo possibile avvelenatore), il nobile dai capelli sciolti il conte Enrico di Fiandra, il personaggio laico più giovane il vicario di Pisa Francesco Tani degli Ubaldini e il personaggio più corpacciuto il podestà o il capitano del popolo di Pisa. La quinta testa scoperta da Carli presenta sulla nuca la tipica tonsura che la indica come un personaggio ecclesiastico. Wolf (19 90) ha proposto di riconoscere nelle sei presunte figure originarie i principi elettori, tre laici e tre ecclesiastici, cercando di dimostrare soprattutto la plausibilità per l'epoca di una raffigurazione comprendente solo sei e non sette elettori; secondo la sua ricostruzione la sesta figura mancante dovrebbe perciò rappresentare un ecclesiastico. Nel pubblicare il frammento di Marlia (che raffigura invece un personaggio" laico") Tigler e Passavant hanno respinto l'ipotesi di Wolf con osservazioni largamente condivisibili. L'incertezza sull'identificazione delle singole figure discende in realtà da quella relativa al carattere generale dell'insieme; si tratta di un gruppo mirante ad una esaltazione generale della figura imperiale e della sua funzione o della rappresentazione sintetica di un evento particolare della sua vicenda terrena quale l'elezione o l'incoronazione, o magari legato ai suoi rapporti con la città di Pisa? Quest'ultima ipotesi, condivisa anche da Tigler e Passavant, appare la più probabile. Osserviamo inoltre che appare interessante un raffronto con le miniature del trecentesco Codex Balduini (riprodotte in HEYEN1965) che illustra le vicende dell'impresa italiana di Arrigo. il presunto Enrico di Fiandra del gruppo pisano appare, sia nelle vesti che nei capelli sciolti e lunghi fino al collo, paragonabile alle figure di nobili e cavalieri tedeschi che formano il seguito imperiale in quelle immagini. Rarissimamente, e sempre in riferimento a personaggi italiani (p.e. nella scena con Arrigo "in Capitolio"), il miniatore rappresenta figure abbigliate con la cuffia che copre i capelli presentata dai presunti notabili locali del gruppo pisano. Quest'ultimo particolare, compresa l'arricciatura artificiale dei capelli fuoriuscenti dal copricapo, si riscontra invece nelle figurazioni italiane del tempo, ed è un aspetto tipico della moda fra i due secoli, fino al 1340 circa, come ha sottolineato Bellosi. È probabile che nelle due statue oggi alla destra dell’Imperatore siano da riconoscere effettivamente personaggi "italiani" della cerchia imperiale o dignitari pisani; il più corpacciuro dei due è inoltre l'unico dei "consiglieri" a presentare una caratterizzazione del volto ("a bulldog-like face" secondo la definizione di Valentiner) tale da far supporre una effettiva volontà ritrattistica. Attorno al gruppo imperiale rimangono comunque altri problemi insoluti, il principale dei quali riguarda la stessa immagine di Arrigo VII seduto in trono. La testa dell’imperatore appare infatti violentemente spezzata rispetto al resto del corpo, al quale non si collega più organicamente. Inoltre, la testa appare sproporzionata rispetto al resto della statua e, secondo quanto rilevato da Seidel (19 87), sarebbe realizzata in un marmo diverso da quello usato per il corpo. Dal punto di vista stilistico, la fattura minuta del volto non appare conciliabile né con quella del corpo seduto, né con le immagini dei Consiglieri, né infine col volto dell'immagine giacente, al quale non è neppure troppo somigliante. Per queste incongruenze sono state proposte varie soluzioni, dalla diversa autografia delle singole parti (con la testa imperiale in genere ritenuta autografa), alla diversa cronologia dei ritratti di Arrigo (postulata soprattutto da chi non crede la figura seduta pertinente al sepolcro), al diverso uso di un possibile calco eseguito sul cadavere imperiale. Solo Tolaini (1958) sembrò essersi spinto ad ipotizzare una non pertinenza della testa al corpo sul quale è oggi malamente applicata, e a rigettare la sua autografia. Il problema appare per ora non risolvibile, ma dovrà necessariamente essere ripreso in esame per la sua importanza; proprio sulla corona imperiale portata da questa testa si basa, in definitiva, la tradizionale identificazione di tutto il gruppo con Arrigo VII e il suo seguito, nonché la conseguente ipotesi di collegamento con la tomba imperiale
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900769204-5
  • NUMERO D'INVENTARIO 2014OPAOA00769204_05
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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