Il Pantheon

Con un rimando al film ‘Il ventre dell’architetto’ di Peter Greenaway, 1987
a cura di Marta Tonelli

“Verso quest’ora, quando mi trovo dalle parti del Pantheon, vengo qui e resto ammirato da questo capolavoro di Architettura: non meno solido che bello, non meno romantico che imponente. Voluto da Adriano, il più raffinato di tutti gli imperatori. La buona Architettura merita sempre un applauso.”

Scoppia in seguito a questa frase l’applauso di tutti i commensali presenti alla cena organizzata in onore dell’architetto americano Stourley Kracklite, giunto a Roma con la moglie Louisa, per celebrare l’avvio ai lavori per la mostra dedicata a Etienne-Louis Boullée, da lui curata. La scena li inquadra seduti, ciascuno sulla propria sedia del ristorante antistante, sulla fontana di piazza della Rotonda, mentre contemplano il colonnato del Pantheon, illuminato da luci rosse.


Il ventre dell’architetto, film del 1987 di Peter Greenaway, si immerge in alcune delle più celeberrime architetture della città eterna. Molti monumenti di Roma compaiono nel corso del film: oltre al Pantheon, il Vittoriano, luogo prescelto per l’allestimento della mostra, il Mausoleo di Augusto, simbolo della grandezza della Roma antica percepita ormai attraverso le sue vestigia, il Palazzo della Civiltà Italiana, ipotetico controcampo visibile dalle finestre in studio della fotografa, la sorella dell’amante della moglie di Kracklite.

La città appare statica, quasi fosse priva di strade, con poche persone, proprio come nelle cartoline che Kracklite scrive a Boullée mentre il suo delirio aumenta, al punto che queste bene si sovrappongono alle riprese a camera fissa su alcuni scorci urbani. Man mano che i rapporti di Kracklite con le sue controparti terrene vengono meno, lo scambio epistolare Boullée con annulla lo spazio-tempo. Nel film vengono inquadrati anche svariati modelli in scala e disegni di Architettura: i monumenti e lo spazio, anche attraverso la loro rappresentazione, diventano quindi il ventre in cui si sviluppa la storia, riflettendo l’umore del protagonista e l’avanzamento della sua nevrosi. Kracklite è ossessionato dalla propria pancia: ne raccoglie diversi esempi, li fotocopia in molte copie, si circonda di frammenti, tentando di collocare - purtroppo solo sulle fotocopie, all’esterno da sé - l’origine del proprio male. Gli spazi nel film, tutti luoghi iconici ed identitari per la città, vengono continuamente privati di senso, derisi, generando un’Architettura visiva perfetta, le cui geometrie ossessionano sia lo sguardo del protagonista che quello dello spettatore.

L’epilogo amaro del film - Kracklite interdetto dalla sua stessa mostra - relega il protagonista a sua volta ad una condizione marginale di spettatore: può solo guardare l’inaugurazione, ma non viene visto; si trova quindi sulla soglia tra Architettura e città, tra vita e morte. Così come non si è rivelato in grado di entrare nel proprio ventre per comprendere l’origine del proprio disagio, Kracklite ora non può accedere al Vittoriano per testimoniare l’inaugurazione della propria creazione.

É sull’epilogo quindi che l’atto del guardare, racchiuso nell’occhio come dispositivo di soglia tra interno ed esterno, attesta l’impossibilità di vedere finalmente al di sopra delle parti e quindi capire. Questo purtroppo per Kracklite non è stato né diviene possibile, da cui, la visione di quanto sta accadendo di fronte a lui gli risulta essere insopportabile e fatale.