Il Museo di Roma a palazzo Braschi

Un museo per i romani nell'ultimo palazzo papale dell'età moderna
a cura di Alessandra Karshan, pubblicato il 25/09/2023

Il Museo per eccellenza dell'Urbe, che custodisce al suo interno le testimonianze della 'Roma sparita' e le successive trasformazioni del tessuto urbanistico e architettonico dall'età barocca ai giorni nostri, ha sede nella mole monumentale di palazzo Braschi, un edificio dalla storia altrettanto travagliata costruito tra la fine del XVIII e i primi anni dell'XIX secolo dall'architetto Cosimo Morelli (1732-1812) per volontà dell'allora papa Pio VI Braschi (1775-1799). Esponente di un' antica casata emiliana originaria di Cesena, Pio VI è ricordato dalle fonti coeve come il "papa bello" che intraprese importanti opere civili come la bonifica delle paludi pontine, la costruzione di arterie stradali come la Tivoli-Subiaco e la Velletri-Terracina, la costruzione di un orfanotrofio alle falde del Gianicolo e l'innalzamento dei tre obelischi egizi a Piazza del Quirinale, a Trinità dei Monti e a Piazza di Montecitorio, ecc. Ciononostante, al pari dei suoi  predecessori, non potè esimersi dall'avvantaggiare la propria famiglia destinando rendite e privilegi ai due nipoti maschi Luigi e Romualdo, per i quali fece erigere dall'architetto Morelli il nuovo palazzo nel cuore del rione Parione, tra Piazza di San Pantaleo e Piazza Navona, sul sito del demolito palazzo Orsini.

Se il futuro della casata Braschi non si rivelò all'altezza delle aspettative papali, tra debiti e cattiva amministrazione, il Museo di Roma raccolse questa eredità scomoda e la pose finalmente al servizio della cittadinanza. 

Ragusaibla, Facciata di palazzo Braschi da Piazza Navona, 2014, fotografia digitale, 749 × 554 px, Roma Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0
Ragusaibla, Facciata di palazzo Braschi da Piazza Navona, 2014, fotografia digitale, 749 × 554 px, Roma

Nel 1790 Pio VI Braschi acquistò dai Carracciolo di Santobono per 42.000 scudi il palazzo quattrocentesco fatto costruire da Francesco Orsini e in seguito abitato dal cardinale Oliviero Carafa. Quest'ultimo rese celebre una delle piazze d'angolo dell'edificio facendovi collocare nel 1501 il gruppo mutilo di Menelao e Patroclo, una copia romana di Scuola pergamena datata alla fine del III secolo a. C. che fu presto rinominata dai romani 'Il Pasquino', la prima statua parlante della città su cui i cittadini ancora oggi affiggono bigliettini polemici e motti di spirito. L'anno seguente Cosimo Morelli avviò la costruzione dell'imponente edificio in laterazio ispirato ai modelli cinquecenteschi e vanvitelliani su tre piani a pianta trapezoidale irregolare e cortile centrale, con partimenti in travertino e ampio ricorso al bugnato alla base e agli angoli smussati, avente come ingresso principale il portone monumentale su Piazza di San Pantaleo.

Se architettonicamente la gran mole dell'edificio appare regolare e austera, cattura gli sguardi il sontuoso scalone dell'atrio principale realizzato dal Morelli con la supervisione di Giuseppe Valadier (1762-1839), che è stato definito dagli studiosi "l'ultima grande scala barocca alle soglie dell'Ottocento": diciotto colonne in granito rosso di riuso provenienti da un portico dell'età di Caligola svettano flessuose da due rampe balaustrate e sorreggono leggiadre volte di limpidissimi stucchi con ornamenti antichi e moderni e richiami araldici ai gigni e alle stelle dello stemma pontificio; le ricche decorazioni con stucchi, medaglioni e bassorilievi inseriti nelle volte e nei paramenti murali furono realizzate da Luigi Acquisti (1745-1823) sempre in collaborazione con il Valadier e si ispirano all'Iliade, il cui protagonista Achille occupa il posto d'onore nella nicchia al primo piano ed è tra le poche statue superstiti della ricca collezione di antichità della famiglia Braschi. L'elegante scalone termina al terzo piano con un loggiato a pianta rettangolare con una balaustra che gira tutta intorno richiamando la scena teatrale e culmina nell'apertura di luce apollinea della finta cupola della volta, evidente omaggio allo Scalone d'Onore della Reggia di Caserta ma anche all'oculo del Pantheon. La decorazione degli interni di gusto antiquario con cicli ad affresco e pitture a tempera fu affidata in gran parte al pittore folignate Liborio Coccetti (1739-1816), che per la sala ovale al terzo piano realizzò un bellissimo ciclo di vedute lacustri ambientate sul lago di Nemi dove si riconosce il castello del duca Luigi Braschi Onesti.

 

La famigia Braschi si trasferì nel nuovo palazzo nel 1793, a lavori ancora in corso, trasportandovi dalla precedente abitazione in Campo Marzio una ricca collezione di opere d'arte tra pregevoli sculture antiche e dipinti dei migliori Maestri del Cinqucento come Fra' Bartolomeo, Tiziano e Veronese. Non fu un soggiorno nè lungo nè tranquillo per don Luigi, il nipote prediletto fatto creare duca di Nemi e grande di Spagna dallo zio pontefice, perchè i romani mal tolleravano la sua superbia e malversazione e fecero di palazzo Braschi un continuo bersaglio di attacchi finché, nel 1794, l'edificio non rischiò l'esplosione per un complotto sventato. Nel 1789 le truppe napoleoniche invasero lo Stato pontificio decretando la fine del potere temporale della Chiesa e costringendo l'ormai anziano e malfermo Pio VI e tutta la sua famiglia all'esilio da Roma, dopo aver messo sotto confisca i loro beni; fu proprio in questo frangente che pregevoli pezzi di scultura antica come la statua di Antinoo (oggi fortunatamente nella Sala Rotonda del Vaticano), tre busti e due tazze di rosso antico presero la rotta della Francia. Con il ritorno del nuovo papa Pio VII Chiaramonti sul soglio pontificio nel 1800 don Luigi potè fare finalmen ritorno nel suo palazzo e diede seguito alle decorazioni rimaste incomplete, ma i molti debiti accumulati lo costrinsero pochi anni dopo a vendere ciò che rimaneva delle collezioni di famiglia, soprattutto al re di Baviera che stava allestendo la Gliptoteca di Monaco. Dopo la morte del duca e del cardinale Romualdo suo fratello, il palazzo venne in parte affittato e il suo salone ospitò per un periodo gli spettacoli dell'Accademia Filodrammatica romana ma i troppi debiti di famiglia rendevano necessaria la vendita (nel 1866 si giunse persino a metterlo in lottera mediante cartelle vendute al prezzo di 5 franchi).

 

Nel 1871 l'immobile fu acquistato dallo Stato italiano e assegnato al Ministero dell'Interno, travolgendone l'originaria funzione d'uso. Dopo aver attraversato le vicende dello Stato post unitario, dal 1930 al 1944 il palazzo fu sede della Federazione Fascista dell'Urbe, negli stessi anni in cui il Governatorato decretava la nascita del Museo di Roma, il 21 aprile 1930, con l'obiettivo di raccogliere la memoria della capitale e stabilire una continuità storico-documentaria tra i fasti imperiali e la città medievale e moderna. Il Museo ebbe la sua prima sede in Via dei Cerchi nell'ex pastificio Panella, che già ospitava il Museo dell'Impero, e la sua realizzazione fu affidata al direttore alle Antichità e Belle Arti del Governatorato romano Antonio Munoz, che diede grande impulso alla crescita delle collezioni con il proposito di creare un luogo che fosse "lo specchio che riflette la vita intima del popolo romano". Una vicenda, anche questa, destinata ad essere stravolta dalla caduta del Regime durante la Seconda guerra mondiale, con la conseguente chiusura del Museo di Roma e l'arrivo di centinaia di famiglie di sfollati nello storico palazzo Braschi, ancora una volta reso oggetto di riappropriazione da parte della cittadinanza. In quegli anni l'edificio subì gravi danni per i fuochi accesi per scaldarsi, le distruzioni e le ruberie varie fino allo sgombero definitivo nel 1949. Dopo anni di incertezze e di accese polemiche sul destino dell'ormai ex palazzo nobiliare romano, nel 1952 il Comune di Roma ottenne l'assegnazione della sede per destinarla al nuovo Museo di Roma, interamente restaurato e ripristinato sotto moderni propositi di valorizzazione.

In seguito agli ingenti acquisiti di opere d'arte tra i quali i dipinti della collezione Rospigliosi, il fondo cospicuo di opere di Bartolomeo Pinelli e un gruppo di busti seicenteschi dei migliori artisti del tempo, e con l'accrescimento del posseduto di stampe e fotografie storiche, il Museo di Roma a palazzo Braschi vanta oggi un patrimonio vario ed eterogeneo di circa 120 000 opere datate prevalentemente tra Cinquecento e Novecento. Costituiscono una parte considerevole delle collezioni gli acquarelli e i dipinti dell'Ottocento e dei primi del Novecento con vedute della città con le sue vetuste rovine, la placida campagna e le memorie della 'Roma sparita', dall'affollato mercato di Piazza Navona senza la Fontana dei Quattro Fiumi alle acque ribelli del Tevere prima della costruzioni dei "muraglioni" alla fine del XIX secolo; numerosi i resti lapidei e i lacerti di affresco che sono stati salvati alle distruzioni del Piano Regolatore e del Governatorato fascista. Tra questi, meritano una particolare menzione i teleri con le Storie di Amore e Psiche dipinte dal Cigoli per la loggia demolita dell'attuale palazzo Rospigliosi-Pallavicini, i sei resti della facciata in monocromo del distrutto Casino del Bufalo con le storie di Perseo di Polidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino mentre, tra i pezzi della collezione medievale, spiccano i piccoli frammenti di mosaico proveninti dalla volta dell'antica basilica costantiniana di San Pietro, prima della sua distruzione nel Cinquecento per volontà di Giulio II.

Palazzo Braschi ospita al terzo piano anche il Gabinetto delle stampe e l'Archivio fotografico comunale, fin dal 1930 parte integreante del Museo di Roma, con vasti e importanti fondi che costituiscono prezioso appiglio documentario per ricostruire la storia di luoghi ricordati dai pittori ma ormai scomparsi, come la seicentesca Villa Ludovisi.

 

Negli approfondimenti che seguono sono stati selezionati alcuni nuclei tematici che caratterizzano la storia del Palazzo e delle sue collezioni, attraversando le grandi trasformazioni urbanistiche e architettoniche della città moderna, dalla grande renovatio barocca sotto la guida dei Pontefici ai cambiamenti indotti dalla proclamazione a capitale del Regno d'Italia. Un'attenzione particolare sarà dedicata alla storia degli usi e costumi del popolo romano, con quel tocco di brio che da sempre ha contraddistinto la romanità, negli appartamenti di potere come nelle botteghe e nelle osterie di Trastevere, e che artisti e poeti dell'Ottocento come Bartolomeo Pinelli e Giuseppe Gioacchino Belli hanno saputo restituirci con vivacità e immediatezza. 

 

Bibliografia

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Pubblicato in occasione della Mostra di Bartolomeo Pinelli, Roma, Palazzo Braschi 1956.

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Rossella Leone, M. Serlupi Crescenzi e T. Calvano (a cura di), Le velleità del nepotismo e gli imprevisti della storia: trasformazioni e recuperi a Palazzo Braschi, Restaurar, Ristaurare, Rifare a una cosa le parti guaste..., Atti del IV Seminario di Formazione per gli Insegnanti, Città del Vaticano, 4/2016, Città del Vaticano, 2016 , pp. 119-133

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D'Amelio Angela Maria, Fotografi e pittori al servizio del Governatorato durante le demolizioni., C. Parisi Presicce Claudio, L. Petacco, La Spina. Dall’agro vaticano a via della Conciliazione, Roma, 2016 , pp. 283-287

Bibliografia in rete

Museo di Roma, 21/08/2023 (LINK)

Museo di Roma - Palazzo Braschi. Le trasformazioni urbanistiche e la vita culturale della capitale, 21/08/23 (LINK)

PINELLI, Bartolomeo, 4/09/2023 (LINK)