Perseo pietrifica Fineo

dipinto, ca 1661 - ca 1661

dipinto privo di cornice

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Pasinelli Lorenzo (attribuito)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo municipale
  • INDIRIZZO Via Roma, 39, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il gigantesco dipinto è descritto per la prima volta nel 1739, da Charles de Brosses, nel corso del suo passaggio mantovano. Il Presidente menziona infatti, tra le tele poste a decorare i saloni dell'appartamento Ducale, nel Palazzo già dei Gonzaga, "les Noces de Persée et d'Andromède, par Palme" (DE BROSSES 1739 [ed. 1991], p. 226): questa menzione viene accostata al nostro dipinto solo in anni recenti (FACCIOLI 1966, p. 37 nota 37; AGOSTI 1992, p. 12). Va detto che De Brosses, poche righe prima, ha menzionato il "Vieux Palme" e non è chiaro se riferisca le Nozze a questi, come interpreta SCHIZZEROTTO (1981, p. 229), o a Palma il Giovane, come mi parrebbe più logico. Né l'inventario gonzaghesco del 1665 (come già rileva AGOSTI 1992, p. 18), né un inventario del 1714 del palazzo Ducale (cfr. Dai Gonzaga agli Asburgo 2008), citano l'opera. Tuttavia essa non sembra comparire neanche nell'elenco dei dipinti giunti, nel 1716, da Mirandola. Non si riesce quindi a stabilire la provenienza del telero, entrato in Palazzo tra 1716 e 1739. Nel seguito del Settecento l'opera è ricordata costantemente nei saloni della reggia, senza che ne venga suggerita alcuna attribuzione; nel 1804 invece è detta "del Brusasorci" (App. 7, n. 236). Per buona parte dell'Ottocento non ne troviamo menzione bibliografica anche perché essa, come è facile immaginare, non deve aver incontrato il gusto dell'epoca. Negli anni Ottanta del XIX secolo, Intra menziona in un manoscritto il dipinto, ritenendolo opera di Jacopo Palma il Giovane (INTRA 1880 [ed. 2003], p. 192): egli forse interpreta il parere di De Brosses. Lo stesso studioso cita il quadro in due occasioni a stampa, senza tuttavia darne coordinate cronologiche o attributive (INTRA 1883, p. 23; INTRA 1916, p. 32); secondo l'inventario del 1937, il dipinto è seicentesco e come tale è concesso in deposito, nel 1946, al Municipio di Mantova, dove è tuttora esposto. OZZOLA (1949, n. 325; 1953, n. 325) lo scheda come opera di scuola mantovana del Seicento. La TELLINI PERINA (1971b) propone una diversa soluzione del problema: il pittore bolognese Giuseppe Marchesi, detto il Sansone, avrebbe dipinto il Banchetto verso il 1750, in contiguità alle tele per palazzo Cavriani (che sono del 1746-1748: L'OCCASO 2007d, p. 96; ma i rapporti del Sansone con Mantova si possono anticipare almeno al 1727: cfr. BARTOLI 1771-1799 [ed. 1985], p. 67). La proposta della Tellini Perina sembra appoggiata da Roli (cfr. TELLINI PERINA 1971b, p. 7 nota 9). AGOSTI restituisce nel 1992 l'opera al suo corretto contesto culturale e cronologico. Il soggetto viene identificato nella rara iconografia di Fineo e i suoi compagni trasformati in pietra al banchetto nuziale di Perseo e Andromeda (Ovidio, Met., V, 177ss). Un'altra occorrenza mantovana del soggetto si può trovare in un modesto ciclo di affreschi di poco posteriori alla metà del XVI secolo, in un edificio di piazza Arche n. 2. Agosti data le Nozze di Perseo attorno o poco dopo la metà del XVII secolo e le assegna a Pietro Francesco Ferrante, detto il cavalier Ferrante: un maestro emiliano influenzato da un certo tenebrismo di ascendenza guercinesca. In particolare viene suggerito il confronto tra il nostro Banchetto e le ante dipinte da Ferrante per l'organo di Santa Maria della Campagna in Piacenza, attualmente divise tra il Museo Civico della città e la chiesa di San Martino a Rivalta Trebbia. NEGRO (2003, p. 503) in seguito accoglie questa attribuzione, che tuttavia non soddisfa appieno, poiché nel nostro dipinto troviamo panneggi meno spigolosi e una tavolozza più fredda delle ante piacentine. AGOSTI nel 1992 (p. 15 nota 5) riporta anche il parere di Benati e Milantoni, che suggeriscono una seconda pista: il confronto delle Nozze con due quadri ora nel Museo della Città di Rimini, in origine nell'Oratorio della Gomma: Davide che suona l'arpa davanti a Saul e la Pasqua ebraica. Questi dipinti sono attribuiti da MARCHESELLI (1754 [1972], pp. 113-115), a un "tal Monsù Abramo Oltramontano, il quale circa il 1650. per qualche tempo in Rimino nell'Oratorio dell'Aspettazione di Rimini si trattenne"; sono attualmente esposti nel Museo della Città e attribuiti al danese Eberhardt Keilhau su suggerimento di Federico Zeri (HEIMBÜRGER 1985, p. 74; HEIMBÜRGER 1988, pp. 256-257; P.G. Pasini, in Seicento inquieto 2004, pp. 81-83 nn. 56-59), ma spettano a mio parere a un "monsù Abramo" attivo anche a Verona e Ferrara e detto "lo Scozzese". A Verona dipinge, nel monastero di Sant'Eufemia, un "S. Agostino dormiente con Gesù Bambino, che gli compare in sogno alla riva del mare, mostrando di volerlo votare con piccola cocchiara" (DAL POZZO 1718, p. 234); a Ferrara in Santa Maria della Pietà lascia un Transito di san Giuseppe tuttora in sito (BAROTTI 1770, p. 44). A ogni buon conto, le tele riminesi e le Nozze di Perseo non sono della stessa mano. In seguito BENATI ha dapprima (1994, p. 430 nota 18) rilevato nella composizione l'ascendente CONTINUA NEL CAMPO OSS
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300152034
  • NUMERO D'INVENTARIO St. 669
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Cremona, Lodi e Mantova
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Mantova Brescia e Cremona
  • DATA DI COMPILAZIONE 2010
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2009
    2013
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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