Madonna della Carità. Madonna con il Bambino tra San Francesco, Santa Caterina e devoti

dipinto 1419 - 1419
Maestro Di Roncaiette (attribuito)
notizie prima metà del sec. XV

L’opera si apparenta, sia per analogia di supporto che per affinità di dimensioni (cm 230×170) e iconografia, a un altro dipinto su tela: si tratta della Madonna con Bambino, santi e devoti, datata 1408 e eseguita per la fraglia padovana di Santa Maria dei Servi. La destinazione confraternale di entrambi i dipinti, unita al loro essere realizzati su tela ha generato un’ambiguità interpretativa circa la loro funzione, portando gli studiosi a dividersi tra quanti li considerassero stendardi processionali (Padovani, 1974, p. 8; Tambini, 1987, p. 32; Ericani, in Pisanello 1996, p. 218) e quanti invece ammettessero per essi una collocazione fissa al di sopra della mensa eucaristica (Middeldorf, 1962, pp. 19-20; Lucco, 1989, p. 82). L’incremento delle conoscenze circa la produzione di telae pictae nel corso del Basso Medioevo, per cui non appaiono più straordinari i casi di pale d’altare realizzati su un supporto tessile, ha costituito una forte motivazione a sostegno dell’ipotesi di un alloggiamento delle nostre due opere in maniera stabile su un altare. Middeldorf, poi, ha rilevato come il termine “ancona”, con cui viene designata la tela del 1408 nell’iscrizione commemorativa ai piedi della Vergine, fosse di norma utilizzato per indicare le pale d’altare, sebbene su supporto ligneo. Altrettanto significativo a riguardo un passo del Giornale per l’anno 1763 -1763, dove, all’interno della Scuola della Carità, si accenna ad «un sito dove si suol porre la Sacra Effige di M. V. che suol por tarsi in Processione, in mezzo di dorata cornice, e coperta […]»: si tratta evidentemente della descrizione di un’immagine mobile, chiaramente distinta dal nostro dipinto, che invece viene ricordato come pala sull’altare del Capitolo. La scelta del supporto in tela si motiverebbe quindi, tanto per l’opera in esame quanto per quella proveniente dal Capitolo servita, per la provvisorietà di collocazione al momento dell’esecuzione e per la necessità di successivi spostamenti, piuttosto che sulla base di un utilizzo in quanto stendardi processionali

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA Tela
  • ATTRIBUZIONI Maestro Di Roncaiette (attribuito)
  • LOCALIZZAZIONE Azienda Ospedaliera di Padova
  • INDIRIZZO Via Nicolò Giustiniani, 2, Padova (PD)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Attualmente conservata all’interno dell’Azienda Ospedaliera, la tela si trovava precedentemente sull’altare di sinistra della cappella dell’Ospedale Civile, consacrata a Santa Maria della Neve, dove venne collocata nel 1852 a seguito del trasferimento dalla Scuola della Carità, sede dell’omonima confraternita, sita all’odierno civico 63 di via San Francesco. L’ubicazione del dipinto nella sala del Capitolo confraternale è ricordata dalle fonti settecentesche sull’altare maggiore dotato di baldacchino, lungo il lato settentrionale, tra gli affreschi raffiguranti la Morte e L’ Ascensione della Vergine, dipinti da Dario Varotari nel 1579. È probabile che l’opera sia stata qui sistemata a partire dal 1451, nel momento in cui fu assegnato alla congregazione, che fino ad allora aveva utilizzato uno degli ambienti dell’ospedale, lo stabile che ancora oggi porta il suo nome. Questo avvenne in concomitanza di una maggiore autonomia e una più chiara definizione dell’assetto operativo dell’ente assistenziale in rapporto alla crescente specializzazione medica del nosocomio. Nulla si conosce riguardo la collocazione antecedente l’alloggiamento definitivo nella Scuola della Carità, ma si può ipotizzare che il dipinto seguisse gli spostamenti di sede della confraternita all’interno del complesso ospedaliero, mentre sembrerebbe di poter escludere una sua sistemazione nella cappella di proprietà della fraglia all’interno della chiesa di San Francesco. L’iscrizione in caratteri gotici posta alla base della figurazione, recante la data 1419, permette di aggiungere ulteriori precisazioni circa le vicende storiche che portarono alla realizzazione del dipinto: il 1 gennaio di quell’anno venne infatti stipulata una convenzione tra i rappresentanti di Sibilla de’ Cetto, fondatrice dell’ospedale insieme al marito Baldo Bonafari, e i guardiani della fraglia, al fine di includere l’ente caritatevole entro il circuito dell’assistenza e cura dei pauperes Christi. L’esecuzione dell’opera si può quindi ben leggere alla luce di tale documento e fu commissionata, a nome di tutta la compagnia, dal tavernaro Giorgio da Modone, rappresentato con la moglie in posizione preminente tra tutti i confratelli. Secondo una felice intuizione di Bellinati (1982) i due personaggi a lato dell’iscrizione non sarebbero allora Baldo e Sibilia, come invece si era a lungo creduto sulla base della “memoria-stampa” di fattura ottocentesca, con testo attribuito al Gloria, conservata negli uffici della Direzione dell’Azienda Ospedaliera. Il dipinto raffigura, in posizione centrale, la Madonna con il Bambino affiancata dai santi Francesco e Caterina, quest’ultima facilmente riconoscibile dal consueto attributo della ruota, mentre il ramo di palma, nella destra, risulta del tutto scomparso; in alto, Dio Padre benedicente, circondato da una corolla d’angeli musicanti e nella parte inferiore della scena, ai lati dell’iscrizione commemorativa, gli affiliati della fraglia, a sinistra gli uomini, a destra le donne. Fa da sfondo alla composizione un rigoglioso giardino di matrice internazionale, che già Huter, interpretava come hortus conclusus, allusione alla Verginità e Immacolata Concezione di Maria. La verità di fede della Madre di Dio sine macula, fortemente sostenuta in quegli anni dall’ambiente francescano osservante intorno al quale la confraternita gravitava, nell’opera sarebbe richiamata altresì da altri puntuali riferimenti visivi, quali la colomba dello Spirito Santo, inviata da Dio Padre al di sopra del capo aureolato della Vergine a fecondarne il grembo, l’alone di raggi solari che si dipartono dal corpo della stessa e l’apposizione, qui e là tra la verzura, di piccole stelle. Nell’opera, il tema della Madonna dell’Umiltà, intimamente correlato a quello dell’hortus conclusus, viene poi arricchito dall’esaltazione della Maestà (due angeli pongono una corona al di sopra del capo di Maria), mentre il motivo della Madonna della Misericordia, caro all’arte confraternale e che si potrebbe giustificare in virtù della committenza, manca dell’elemento caratterizzante del manto dispiegato a ricovero della moltitudine di consociati sottostanti, connotazione irrinunciabile del soggetto, pur nelle varie declinazioni che esso venne ad assumere nel corso della sua storia. Una tale stratificazione iconografica, unita alla precisione e minuzia di dettagli con cui viene affrontato complessivamente il soggetto e alla presenza stessa dell’iscrizione, sembrerebbe porsi in netto contrasto con le immagini di più immediata e semplice comprensione che si incontrano negli stendardi processionali, e orientare verso un tipo di fruizione differente. Le vicende critiche sulla paternità del dipinto vedono una prima attribuzione, di sfuggita e senza seguito, ad uno dei Vivarini (Visitationes, 1859, c. 125r), quindi a Nicolò Mireto, autore degli affreschi del Salone (Arslan, 1936, p. 147; Bellinati, 1983, p. 25). Più generici i rimandi ad un anonimo veneto-emiliano (Lucio Grossato, in Da Giotto a Mantegna 1974, n. 72; Anna Maria Spiazzi, in Imago Mariae 1988, p. 107) o ad un artista dell’ambito gotico-internazionale di provenienza veronese (Maschio, 1975, pp. 332-333). Con Middeldorf (1962) è l’avvicinamento dell’opera alla fase della pittura veneziana facente capo ai modi di Niccolò di Pietro negli anni della Madonna Belgarzone e dell’Incoronazione della Vergine ora all’Accademia dei Concordi; per la prima volta la tela viene pubblicata insieme a quella datata 1408 della fraglia padovana di Santa Maria dei Servi, e viene avanzata l’ipotesi dell’appartenenza di entrambe al catalogo di un unico artista, proposta che non sempre ha trovato l’unanimità della critica (Merkel, 1974, pp. 322-323). A seguito di un suggerimento di De Marchi (1986, p. 76) e con una più decisa presa di posizione da parte di Lucco (1989, p. 82), la maggior parte degli studiosi è oggi comunque incline a ravvisare nell’autore dei dipinti un’unica personalità: si tratta del Maestro di Roncaiette, pittore di formazione padovano- veneziana attivo sino agli trenta del Quattrocento. Le due opere si configurerebbero quindi quali momenti più antichi del percorso del pittore. Il dipinto del 1419 registra un netto declino nel livello qualitativo della produzione del maestro, ritardato rispetto alle novità che si stavano imponendo a Venezia e costretto ad una ripetizione sfibrata degli stilemi dell’ormai trascorsa stagione internazionale (Valentina Baradel, in La Salute e La Fede, 2014)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico non territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500690515
  • NUMERO D'INVENTARIO 48055
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Padova, Treviso e Belluno
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso
  • ISCRIZIONI nel cartiglio - ZORZIO DE SER AGNOLO DA MODON TAVERNIERO A FATO FARE QUESTO LAVORIERO A HONORE DE MESER DOMINE DIO E DE SOA MARE, MADONNA SANTA MARYA E DE (TUTA) SOA COMPAGNIA. MCCCCXVIII - caratteri gotici -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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