Trittico dei medaglioni. I santi Cecilia, Tiburzio e Valeriano
trittico dipinto
1480 - 1480
Badile Antonio Ii (1424-1425/ 1507-1512)
1424-1425/ 1507-1512
Trittico, comprensivo di cornice, con San Tiburzio, Santa Cecilia e San Valeriano. I tre santi reggono la palma del martirio; i due giovani hanno anche la spada, mentre Cecilia tiene un libro. Dietro una balaustra con medaglioni all'antica, su cui poggiano vasi con garofani rossi
- OGGETTO trittico dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Badile Antonio Ii (1424-1425/ 1507-1512)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il trittico rappresenta forse l'opera più emblematica di Antonio Badile II, in cui si riconosce ormai unanimemente, dopo le cautele del recente passato, il capo di una bottega che aveva iniziato la sua attività ancora dentro al Trecento e sarebbe arrivata a Paolo Veronese (cfr. la biografia in Vinco 2018, p. 191). Nel periodo della gestione di Antonio Badile II, tra la morte di Giovanni Badile e il primo decennio del Cinquecento, la bottega fu contrassegnata dalla sigla ricorrente del “cespo di garofano”, che le diede il nome. Il complesso è ricordato nel "Catastico" di Dalla Rosa (1803-1804, f. 33): nella sagrestia di Santa Cecilia “...Santa Cecilia, S.Tiburzio, e Valeriano Martiri fig.re in piedi sul legno pittura antica sul gusto del nostro celebre Pisanello. Il suddetto quadro era una volta l'ancona dell'altar maggiore" nella chiesetta dedicata alla santa martire romana, che risulta confermata nel 1122 alla giurisdizione dei canonici della cattedrale con breve di Callisto II e che viene soppressa e demaniata nel 1806, lasciando memoria nella toponomastica. Il trittico di Santa Cecilia è tra le cose più raffinate di questa bottega, legato ancora alla preziosità gotica dei "Santi Fermo e Rustico" (Verona, Museo di Castelvecchio, invv. 250-1B0353, 251-1B0354) già in San Fermo di Cortalta, e non a caso Dalla Rosa può avanzare per esso un generico riferimento pisanelliano. Anche qui infatti sembra restar valida la combinazione di un contenuto ancora essenzialmente gotico ricoperto da forme umanistiche vistose, ma del tutto superficiali, come la transenna marmorea del fondo ornata di medaglioni classici. Anche nelle vesti il disegno delle nuove forme non esorbita il ruolo puramente decorativo (Marinelli 1987 p. 86). L’originalità compositiva si riscatta forse nel ritmo dato dall'alternanza continua dei medaglioni di fondo, dei vasi di garofani, dagli steli penduli in singolare spirito decadente, delle pose stesse. Anche la prospettiva del pavimento, che unifica le tavole ma non è correttamente gestita negli effetti evidenti di aberrazione marginale, costituisce un ulteriore ritmo, oltre che il campo su cui le figure, ondeggianti, sembrano danzare. Né l'attenzione può indugiare sui volti, manierati e isotipici, che sembrano costruiti su varianti degli stessi modelli o cartoni. I medaglioni risalgono ai repertori tradizionali tratti da monete antiche, quali comunemente si ritrovano a Verona impiegati nelle opere dipinte di Altichiero e Giovanni Badile. Di questi repertori, che comunemente si conservavano nelle botteghe dei pittori, Antonio Badile II aveva evidentemente ereditato almeno quello del padre. L'opera era concepita in un complesso unitario con la vivace cornice policroma, che non sappiamo quanto sia giunta integra, da attribuire probabilmente alla bottega della famiglia imparentata dei Giolfino (cfr. Pietropoli 2010, cat. 101). Malgrado l'apparenza arcaicizzante, per i confronti con le altre opere dello stesso maestro e la tipologia dei tessuti il dipinto può difficilmente risalire a prima del nono decennio del Quattrocento. La riflettografia di Paolo Spezzani (1987) ha rivelato una base di disegno fitto e preciso, cui l'apporto successivo del colore non dà solidità sulle (coerentemente) fragili forme. L'azzurro chiaro ma opaco del cielo funge da chiusura come l'antico oro di fondo. Andrà ricordato che la chiesa veronese di Santa Cecilia, antica giurisdizione dei Canonici della Cattedrale, noti a più riprese quali committenti della dinastia Badile, era anche la parrocchia della famiglia e questo può spiegare forse anche il clima particolarmente affettuoso e “familiare” dell'immagine. Il dipinto fu tolto dall'altare per le nuove, più robuste, esigenze liturgiche controriformistiche all'inizio del Seicento, sostituito con una grande pala di Clemente Bocciardo, che le fonti veronesi scambiarono per Marco del Moro. Forse un dipinto di Marco del Moro, della fine del Cinquecento, fu sostituito subito dopo da quello di Bocciardo
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715160
- NUMERO D'INVENTARIO 279
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0