Santa Caterina d'Alessandria. Santa Caterina d'Alessandria

dipinto ca 1520 - ca 1520

Il dipinto raffigura santa Caterina in piedi, appoggiata alla ruota dentata e con una spada in mano. Alle sue spalle, si sviluppa un paesaggio con montagne, alberi, case e figure

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La collocazione originaria di questa "Santa Caterina d’Alessandria" non è nota. I cataloghi del museo la dicono provenire dal santuario della Madonna di Campagna, dove nell’Ottocento alcune guide la ricordano sistemata sopra la porta maggiore. Il tempio sanmicheliano non fu iniziato che nel 1559, quindi la tela vi giunse da un’altra sede in un’epoca imprecisata, prima comunque delle soppressioni napoleoniche, se può essere identificata con la «S. Appolonia figura sola in piedi» segnalata da Saverio Dalla Rosa circa il 1805 (Guzzo 2002, p. 390). Entrò nelle collezioni civiche entro il luglio 1858, quando il suo stato di conservazione fu oggetto di un’accurata relazione, preliminare ad un intervento di restauro di Lorenzo Muttoni. A Muttoni era stata affidata una sistematica campagna di revisione dei quadri della Pinacoteca comunale dopo la sua inaugurazione, nel 1857, per «metterli in istato decente». Il verbale descrive il dipinto in mediocri condizioni, con molte abrasioni e lacune sparse (sulla guancia sinistra vicino all’occhio, sulla spalla, sul braccio destro e sulla mano sinistra) e con alcune parti ampiamente ridipinte (i capelli, il mantello rosso con la fodera azzurra, l’abito verde dal ginocchio in giù, il piede sinistro, gran parte del cielo e del terreno). Il «beverone» applicato sul retro in un intervento precedente aveva probabilmente lo scopo di consolidare un dipinto gravemente danneggiato dall’umidità. In quella occasione fu aggiunta una striscia di tela di cinque centimetri sotto i piedi della santa. Le carte d’archivio serbano notizia anche di un restauro di Attilio Motta nel 1926, in occasione del trasferimento dei musei d’arte da palazzo Pompei a Castelvecchio. Sergio Marinelli ha colto nella Santa Caterina alcuni puntuali omaggi giorgioneschi, sia nei due ritagli laterali di paesaggio sia nei lustri metallici dello spadone in primo piano (1987, pp. 128-130). L’osservazione illumina una rete di rapporti che percepiamo ancora confusamente e che merita invece di essere approfondita. Si direbbe infatti che, verso il 1520, risuoni in alcuni pittori veronesi una tardiva ma chiara eco dell’arte di Giorgione, probabilmente attraverso la mediazione di Francesco Torbido, che del maestro veneziano era stato allievo, come narra Vasari, e che comunque non aveva mai interrotto i suoi rapporti con Venezia. Primo tra tutti Paolo Morando, almeno dal "San Rocco" della National Gallery di Londra, che è datato 1518. Non è un caso che il suo "Doppio ritratto" degli Uffizi sia attribuito da alcuni studiosi allo stesso Giorgione. In questa direzione dovranno essere riconsiderati i molteplici riferimenti culturali della tela, dove elementi lombardi, percepibili per esempio nella fisionomia della santa, sono integrati da nuovi apporti romani e soprattutto veneziani. Ai modelli tradizionalmente segnalati dalla critica (la "Santa Caterina" londinese di Raffaello, la "Santa Barbara" berlinese di Boltraffio), innegabili quanto generici, altri possono essere preferiti: il più ovvio è naturalmente la "Leda" di Leonardo, magari attraverso una delle tante derivazioni e variazioni milanesi come la "Venere" di Giampietrino. Ma alla luce delle considerazioni precedenti si rivela più pertinente il confronto con la "Giuditta" di Giorgione, nella sinuosa flessione del corpo della figura, che si appoggia con il gomito sul muretto come, qui, sulla ruota dentata, abbandonando mollemente la mano e spingendo avanti con la stessa languida cadenza il ginocchio sinistro. Il paesaggio appena velato dalla foschia mattutina, la spada, la sottile coroncina tra i capelli, le fibbie della veste, tutto concorre a riconoscervi altrettante citazioni del dipinto dell’Ermitage. Il paragone con la "Santa Caterina d’Alessandria" di Francesco Morone (n. inv. 1403-1B0259), attribuita dalle fonti antiche allo stesso Caroto, mostra invece, al di là di analogie tutte superficiali, l’intima alterità dei due artisti: più severo Morone, pur nell’ineffabile dolcezza della santa, più avvertito del messaggio religioso dell'immagine, e assolutamente refrattario alle soluzioni della moda. (da Gianni Peretti 2010, pp. 399-400)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717790
  • NUMERO D'INVENTARIO 1391
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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