Il mosaico nilotico di Palestrina

a cura di Dalila Segoni, pubblicato il 04/03/2021

Il celebre mosaico dedicato al Nilo ha affascinato studiosi, ricercatori, archeologi e collezionisti di tutte le epoche; ma non solo, anche gli osservatori profani sono catturati dal vortice delle figurine umane e zoomorfe rappresentate attraverso la tecnica che vede impiegate le tessere musive. L’opera, riscoperta solo agli inizi del XVII secolo da Federico Cesi (1585 – 1639) – originario di Acquasparta (TR) e membro dell’Accademia dei Lincei – era già conosciuta in precedenza: probabilmente fu realizzata per decorare il pavimento di un grande ambiente absidato presente nel Foro Civile dell’antica città di Praeneste, l’odierna Palestrina – cittadina alle porte della capitale, cara agli antichi per la presenza del santuario dedicato alla Fortuna Primigenia. Nel tempo, lo splendido santuario ha modificato le sue forme architettoniche originali, in quanto fu trasformato inizialmente in un elegante palazzo signorile dalla famiglia Colonna, proprietaria del feudo di Palestrina, e successivamente dalla famiglia Barberini. Oggi il palazzo è sede del Museo Nazionale Archeologico di Palestrina e conserva numerosi reperti di straordinaria bellezza e importanza.

Foto Vasari - Roma, Palazzo Colonna Barberini, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale, sala con il Mosaico del Nilo, gelatina ai sali d'argento, MPI6099458 Fondo MPI, Archivi Fotografici ICCD
Foto Vasari - Roma, Palazzo Colonna Barberini, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale, sala con il Mosaico del Nilo, gelatina ai sali d'argento, MPI6099458

Il mosaico - di notevoli dimensioni - è stato più volte restaurato e rimaneggiato nel corso del tempo. Alcuni frammenti sono andati perduti e diverse figurine che popolano la scena, sono state alterate e modificate. Questo perché, fin dal XVII secolo ha suscitato curiosità e ammirazione da parte di studiosi e ricercatori, che inizialmente si sono preoccupati di identificare il soggetto rappresentato. Fu il francese Melchior de Polignac (1661 - 1741), cardinale e ambasciatore particolarmente interessato all'archeologia, a proporre per primo che l'opera ritraesse l'Egitto. Altri studiosi furono concordi nell'identificare i soldati come facenti parte dell'esercito di Alessandro Magno; per altri invece, il mosaico può essere considerato una celebrazione delle spedizioni in Africa di imperatori romani - come ad esempio, Ottaviano Augusto o Adriano. Oggi, si è abbastanza concordi nel riconoscere la rappresentazione di una piena del Nilo, evento decisamente fondamentale nella vita quotidiana degli antichi egizi, in quanto il fiume rilascia sul terreno il limo, rendendo fertile la terra inondata: Erodoto, nelle sue celebri “Storie” celebra l’unione del Nilo con la terra d’Egitto, decantandola come fosse uno sposalizio.

Bibliografia

Paola Torniai, Incontri a Palazzo Barberini Palestrina. Il mosaico prenestino nella Palestrina dei Barberini, Palestrina, 2016

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