Il corteo delle cuttore

a cura di Omerita Ranalli, pubblicato il 08/12/2021

La sera, intorno alle nove, nella piazza centrale si raduna una gran folla e, dopo uno spettacolo pirotecnico, prende il via la processione: i bambini con le fiaccole (le torcette), il folto gruppo dei suonatori (fisarmoniche, rullante, grancassa, tromba), le autorità religiose e civili, la comunità. Il corteo visita una dopo l’altra tutte le cuttore, in cui entra anzitutto un piccolo gruppo di suonatori assieme al parroco, che procede alla benedizione; anche il sindaco e la giunta comunale presiedono alla benedizione. Dopo la benedizione, i cicerocchi, il vino, i panini e i dolci sono distribuiti ai devoti e ai visitatori che affollano per tutta la notte il paese. La tradizione vuole che anche i visitatori collaborino, mescolando i cicerocchi sul fuoco, in segno di devozione al santo e di buon augurio alla casa. 

Roberto Monasterio, Corteo di Sant'Antonio, 2020, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Roberto Monasterio, Corteo di Sant'Antonio, 2020, fotografia digitale

dal Catalogo

Terminata la processione delle cuttore il corteo si chiude attorno alla mezzanotte sul sagrato della chiesa, dove il parroco saluta la comunità; a quel punto si formano gruppi spontanei di amici che, accompagnati dai suonatori, per tutta la notte attraversano il paese facendo visita alle cuttore, e aspettando la sfilata delle conche rescagnate che si tiene all’alba. Date le temperature spesso molto rigide i gruppi si riuniscono a tarda notte sotto i torcioni accesi nelle due piazze del paese. 

 

Durante la processione e per tutta la notte viene eseguito ripetutamente un canto devozionale in cui si rievoca la particolare devozione della comunità nei confronti del santo, il complesso allestimento che il paese organizza “sin dai tempi più lontani” per rendergli omaggio, la visita dei “forestieri”, l’offerta ai poveri, la benedizione alle famiglie locali e a quelle degli emigranti, con l’augurio che il santo possa concedere ai presenti la buona salute, affinché tornino a ringraziarlo l’anno seguente. 

Il brano (Inc: “Oh che bella devezione”) è stato composto nella prima metà del Novecento dal maestro del paese, Pasquale Cianciusi, e adattato a melodia preesistente; la stessa melodia viene, infatti, eseguita nei paesi limitrofi per il canto devozionale a Sant’Antonio Abate, solitamente incentrato sul racconto delle tentazioni subite dal santo, spesso condotto con toni caricaturali.  

Alcune strofette extravaganti, che si aggiungono in coda al brano, vengono eseguite dai gruppi che per tutta la notte attraversano il paese; in esse si tende a identificare il santo con una sorta di patrono del buon vivere, capace di garantire ai presenti, suoi devoti, l’incolumità dalle fatiche del lavoro e i piaceri del vino.

Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale

Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale

Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Roberto Monasterio, Corteo di Sant'antonio, 2020, fotografia digitale

Giampiero Cianfarani, Il corteo in Piazza Ara dei Santi, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Giampiero Cianfarani, Il corteo in Piazza Ara dei Santi, fotografia digitale

Giampiero Cianfarani, Il corteo in Piazza Ara dei Santi, fotografia digitale Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Giampiero Cianfarani, Il corteo in Piazza Ara dei Santi, fotografia digitale

Bibliografia

Associazione Culturale La Cuttora (a cura di), Sant’Antonio Abate a Collelongo. Storia e antropologia di un culto locale, Lanciano, 2015 , p.

Gabriella Mariucci, Laura Bonato (a cura di), La festa di S. Antonio abate a Collelongo: tradizione e innovazioni, in "Festa viva. Continuità, mutamento, innovazione", Torino, 2006 , pp. 231-239