Cristo deposto. Cristo deposto

dipinto ca 1500 - ante 1520

Al centro del dipinto, la Madonna regge sulle gambe Cristo e gli sostiene il capo. A sinistra, un angelo in ginocchio assiste la Vergine a sorreggere il corpo di Cristo. Sulla destra, san Giovanni evangelista in preghiera. Sullo sfondo un paesaggio montuoso e le tre croci

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto appartenne al cavalier Cesare Bernasconi (1798-1870), il ricco possidente di origine lombarda che dal 1857 fino alla morte fu conservatore onorario della Pinacoteca cittadina, alla quale destinò per disposizione testamentaria la sua cospicua quadreria. Nel catalogo manoscritto della collezione, stilato nel gennaio 1871, il pittore Carlo Ferrari, consulente e restauratore di fiducia di Bernasconi, scrisse che il proprietario aveva acquistato il dipinto dalla famiglia Emilei. Fino a quel momento esso vantava un tradizionale riferimento a Paolo Morando, il più amato e conosciuto tra i pittori veronesi di primo Cinquecento, un’opinione che fu condivisa anche da Cavalcaselle. Più tardi le correnti attributive mutarono direzione: Morelli e Berenson (1907) avanzarono il nome di Michele da Verona, Bernardini e Wittkower suggerirono invece quello di Bartolomeo Montagna. Carlo Gamba per primo, in una lettera del 2 settembre 1904 al direttore Pietro Sgulmero, assegnò la lunetta, che dice «molto ridipinta», a Francesco Morone (AMC, anno 1904, prot. 658/VI), ipotesi che riscosse successivamente i maggiori consensi, tra cui quelli di Berenson (1932 e 1968) e Del Bravo. Molte le comunicazioni giunte al Museo in merito all'attribuzione: a Cavenaghi (12 agosto 1904) ricordava Francesco Morone e Paolo Morando; Luigi Brocchi (17 gennaio 1905) lo assegnava a Cavazzola, ipotesi sostenuta in un primo tempo anche da Viscardo Carton (17 gennaio 1905), che invece più tardi pensò piuttosto a Montagna (8 giugno 1906 «bene considerando altri lavori del Montagna si ricrede nella sua prima opinione e lo ritiene un Montagna»); Luigi Simeoni (22 febbraio 1906) citava Liberale; infine Licisco Magagnato riteneva fosse attribuibile a Francesco Morone. Questa frastornante ridda di illazioni è giustificata dallo stato di conservazione disastroso del dipinto. Come suggerito da Gianni Peretti (2010, p. 283-284), per comprendere le attribuzioni che si sono susseguite nel tempo occorre considerare le condizioni dell'opera prima dell’ultimo restauro, come sono documentate da una fotografia anonima conservata nella fototeca del Museo. Il confronto tra le due immagini è sconcertante, e rivela che nel suo intervento Giovanni Pedrocco eliminò, insieme alle ridipinture notate da Gamba, anche le velature superstiti e parte della materia originale. Ne hanno sofferto soprattutto gli incarnati, ridotti ormai alla mera preparazione, e il paesaggio di fondo: perduti tutti i particolari naturalistici, scomparsi l’albero e la città sulla destra, sostituiti da generici profili montuosi in lontananza. Non è difficile immaginare che la delicata tempera originaria fosse ab antiquo in uno stato di grave deterioramento. Questi guasti furono risarciti in un intervento di ricostruzione molto disinvolto, che alcuni particolari (per esempio la veduta urbana) fanno sospettare opera dello stesso Ferrari. La troppo energica pulitura di Pedrocco, che solo un anno prima aveva sconciato l’"Adorazione del bambino" di Giovan Francesco Caroto (inv. 1359-1B0260), ha viepiù infierito su un dipinto ormai allo stremo, riducendolo ad una larva. Per quanto si può ancora leggere della composizione, il nome di Francesco Morone sembra ancora il più convincente, benché sia impossibile ormai giungere ad una attribuzione definitiva. Vasari ricordava che Francesco dipinse per la cappella Emilei nel duomo di Verona, eretta all’inizio del Cinquecento dal canonico Filippino Emilei, un "Cristo portacroce" (disperso fin dal Settecento) affiancato da due santi a figura intera, Giacomo e Giovani evangelista (ancora in loco). L’ipotesi che la lunetta provenga da questo complesso, che fu smembrato nel 1741, quando l’altare venne ricostruito in forme barocche, non sarebbe smentita né dalle dimensioni del dipinto, né dal soggetto che vi è raffigurato, benché Vasari non parli di una cimasa a coronamento del trittico. (da Gianni Peretti 2010, p. 283-284)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717835
  • NUMERO D'INVENTARIO 1438
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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