Sant'Antonio di Padova. Sant'Antonio di Padova
dipinto
ca 1520 - ca 1520
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
1471 ca./ 1529
Frammento raffigurante sant'Antonio da Padova con la mano sinistra poggiata al petto
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il ritaglio nell'ultimo restauro è stato ricucito assieme al frammento inv. 6573-1B2403 con "San Giovanni Evangelista", come suggeriva la continuità del paesaggio sullo sfondo. Nel 1911 con il lascito di Bortolo Monga, uno dei tre figli di Andrea, il più fortunato e illuminato collezionista veronese dell'Ottocento, entrarono nelle collezioni civiche quattro ritagli, compreso quello in esame (invv. 6583-1B2411, 6588-1B2413, 6573-1B2403). Lo stato di conservazione è pessimo, sia per le passate traversie che hanno stremato la delicata materia, sia perché la colla della rintelatura, emersa in superficie, l’ha ulteriormente macchiata e intorbidata. Gli sguardi rivolti verso l’alto di due degli astanti, il sentimento di concentrato dolore che soffonde in modo diverso tutti i volti suggeriscono l’ipotesi che i personaggi partecipassero al dramma di una "Crocifissione". Anche in queste condizioni così compromesse è possibile apprezzare la qualità assai sostenuta dei frammenti, circostanza che accresce il rimpianto per la loro sorte. Quello che resta del dipinto evoca con tanta forza la cultura figurativa di Francesco Morone, che se ne potrebbe proporre senza azzardo l’autografia. Gianni Peretti (2010, pp. 282-283) proponeva di riconoscere nei quattro frammenti quanto resta di una delle due pale dipinte da Morone per la chiesa dei Santi Siro e Libera. Nel 1517 gli olivetani di Santa Maria in Organo avevano concesso l'antica cappella eretta sulle gradinate del teatro romano alla confraternita del SS: Sacramento, alla quale lo stesso Morone si affiliò nel febbraio 1521. Nel 1520, su incarico dei confratelli, Morone dipinse la pala per l'altare maggiore e nel 1524 quella per l'altare della Madonna, una "Assunta tra gli apostoli" conservata nei depositi dei Musei civici. Tuttavia, i pagamenti non dicono molto della prima pala se non che essa essa era finita nel 1520. Più interessante si rivela l'inventario stilato nel 1535 che ne fornisce una descrizione dettagliata: «a l'altar grande: una ancona grande con dui angeli e quattro figure depente in tella cioè da una banda la advocata nostra Maria Verzene gloriosa, S. Paulo, da l'altra S. Zuane e S. Antonio da Padua e in mezo uno crucifixo ligno de rilievo depento, longo circa piedi tri» (Rognini 1973, p. 281). La tela contestualizzava quindi, con le figure dei dolenti, un Cristo in croce intagliato e dipinto di circa un metro di altezza. All'inizio del Seicento, la pala fu trasferita sull'altare del coro interno e sostituita all'altare maggiore dal "Padre eterno in gloria d'angeli" di Sante Creara; secondo Peretti (2010), probabilmente in quella occasione fu affiancata da due tele di Claudio Ridolfi raffiguranti i santi titolari della chiesa. In questa sistemazione la ricordano Lanceni (1720), Biancolini (1749) e Dalla Rosa che, all'inizio dell'Ottocento, descriveva il «Crocefisso grande di rilievo in legno, buona scoltura antica» e «la tavola che sotto gli fa campo con la Vergine (e) S. Giovanni» da lui attribuita a Francesco Morone (ed. 1996, pp. 218, 341). Nel marzo 1810 lo stesso Dalla Rosa stilava un inventario con stima dei dipinti appartenenti alla chiesa, che doveva essere demaniata. La pala, «di stile seco, e senza alcuna espressione», era ora riferita a Domenico Morone e valutata per la cifra irrisoria di «crocioni 1» (Marchini 1972b, p. 239). Pochi anni dopo, Giambattista Da Persico ci informa che «di mezzo al coro fu testé levata, passando tra i quadri del signor Caldana, una bellissima opera dello stesso [Francesco] Morone, ch’è la Vergine dolente, e’ ss. Giovanni e Bernardino [sic] dai due lati del Crocifisso in rilievo» (1821, p. 75). La transazione non poteva naturalmente sfuggire ad Andrea Monga, interessato a ogni espressione del patrimonio artistico veronese, che in una sua memoria manoscritta dedicata alla chiesa non mancava di ricordare l’«opera stupenda di Gio: Francesco Morone […] venduta al Sig. Caldana, dal quale non si sa dove sia passata» (Guzzo 1992-1993, p. 480). Il dipinto scomparso dovette riapparire tosto sul mercato: sappiamo d’altra parte che Monga ebbe molto spesso occasione di acquistare quadri da Francesco Caldana, che era collezionista ma anche mercante d’arte e rinnovava continuamente le proprie raccolte. Con Andrea Monga il cerchio si chiude e come suggerito da Peretti (2010), resta da appurare quando egli entrasse in possesso della pala (o dei frammenti superstiti) e quando essa fosse sacrificata per salvarne le sole teste, forse perché commercialmente più appetibili, forse per lo stato di conservazione già compromesso della tela. (da Gianni Peretti 2010, pp. 282-283)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717837
- NUMERO D'INVENTARIO 6576
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI sul retro della tela - Morone d'Albino / Pinse - corsivo -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0