Madonna con il bambino in trono e i santi Giovanni battista, Giacomo maggiore, Filippo e Benedetto. Madonna con il bambino in trono e i santi Giovanni battista, Giacomo maggiore, Filippo e Benedetto
dipinto
1515 - 1520
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
1471 ca./ 1529
Il dipinto raffigura la Madonna seduta su un alto trono incorniciato da una nicchia; nella mano sinistra tiene un libro chiuso, mentre stringe con la destra Gesù bambino in piedi. Ai lati, san Giovanni Battista e san Giacomo maggiore, a sinistra, e san Filippo e san Benedetto, a destra. Sullo sfondo, un paesaggio
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE La pala proviene dall’altar maggiore della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo di Roncanova, un borgo della bassa veronese ai confini con il Mantovano. In seguito alle soppressioni ecclesiastiche di epoca napoleonica la chiesa fu demaniata e venduta a privati. Nel 1867 la proprietaria, la contessa Anna Giulini della Porta vedova Casati, fece trasportare il dipinto (che già versava in condizioni critiche) nella sua abitazione di Milano. Al suo posto fu collocata una tela di analogo soggetto del bergamasco Giacomo Trecourt (Simeoni 1909, p. 534). Pochi anni dopo, grazie all’intervento dell’assessore Turella e del sindaco Camuzzoni, esso fu donato alla Pinacoteca veronese, dove giunse nel giugno 1879. Tuttavia il suo stato di conservazione ormai irrimediabilmente compromesso fece sì che, dopo qualche tempo trascorso in una sala di palazzo Pompei, fosse relegato nel deposito comunale degli Artigianelli (Canossa 1912, pp. 105-106). La pala è dipinta a tempera su una tela a tramatura diagonale e una preparazione molto sottile. La pellicola pittorica si presenta molto arida e povera di legante e non risulta che sia mai stata verniciata. Queste considerazioni inducono a credere che l’autore abbia impiegato agglutinanti a base di colla animale (caseina, gomma arabica o altri), una tecnica molto amata da Mantegna e dai suoi seguaci, nitida e preziosa ma estremamente fragile. La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo era soggetta alla giurisdizione del monastero olivetano di Santa Maria in Organo. A Roncanova i monaci possedevano estese proprietà terriere, più di 1.400 campi destinati soprattutto alla coltura del frumento, della vite e, dal 1529, del riso (Rognini 1971-1972, p. 651). Come sostenuto da Gianni Peretti (2010, pp. 276-277), la presenza nella pala dei due santi titolari assicura che essa fu espressamente realizzata per la chiesa e non vi giunse in epoca più tarda, seguendo il destino, comune a molte vecchie pale d’altare, di migrare in provincia in seguito al rinnovamento barocco degli arredi. A partire da Lanceni e Biancolini, le prime fonti a stampa che ne facciano menzione, essa ha sempre mantenuto una tranquilla attribuzione a Girolamo Dai Libri, anche se la scheda manoscritta del Museo conserva memoria di una comunicazione di Adolfo Venturi in favore di Falconetto (18 ottobre 1903; altre comunicazioni al Museo: L. Simeoni: Girolamo dai Libri; A. Dall'Oca Bianca: copia; Luigi nob. dei Campi a Monte Santo: Francesco Morone; Viscardo Carton: «quadro perduto completamente per causa delle scrostature e poi evidentemente rifatto»; L. Brocchi: «rifatto molto probabilmente dal Muttoni»). In realtà, quel che rimane del dipinto è più che sufficiente per suggerire piuttosto il nome di Francesco Morone, che già nel 1505 aveva dipinto per un’altra chiesa del contado dipendente dal monastero olivetano veronese, Santa Maria Nascente di Sorgà, una perduta «anchona» (Rognini 1973, p. 82). Il disegno preparatorio che traspare in molti punti sulla superficie della tela è di tale qualità da assicurare anzi su una ampia – se non completa – autografia. Le figure di san Giovanni battista, della Madonna e del bambino saranno nuovamente messe in opera (assecondando un disimpegno inventivo che spinge sempre più spesso il pittore a riutilizzare le sue vecchie idee) nella pala della parrocchiale di Quinto di Valpantena, che reca un’epigrafe con il nome del rettore della chiesa, don Vincenzo Facio, e la data 1526. Essa condivide con la precedente un’antica ma errata attribuzione a Girolamo (Peretti 2010). I registri di Santa Maria in Organo rivelano che Francesco Morone e Girolamo Dai Libri ebbero occasione di lavorare spesso insieme, soprattutto durante il primo governo dell’abate Cipriano Cipriani (1515-1520). Egli commise loro, tra l’altro, la realizzazione delle portelle del nuovo organo della chiesa nel novembre 1515, nonché di «uno quadro a olio a lo abbate cum cinque figure, segondo lui ordenarà» che sarebbe suggestivo poter riconoscere, se non ostasse una ragione tecnica, con la nostra pala (Gerola 1913, pp. 24-26; Vinco 2017). In effetti essa fu dipinta proprio in questo breve giro d'anni, nel momento di maggiore avvicinamento linguistico tra i due artisti. Il confronto con le portelle, oggi nella parrocchiale di Marcellise, dissipa ogni dubbio in proposito: vi corrispondono tipi (san Benedetto), gesti, pieghe di panni, profili di monti in lontananza. (da Gianni Peretti 2010, pp. 276-277)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717846
- NUMERO D'INVENTARIO 6439
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0