Lavanda dei piedi. Lavanda dei piedi
dipinto
1503-1505
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
1471 ca./ 1529
La scena è ambientata in un edificio illuminato da una grande finestra circolare. A sinistra, Cristo è inginocchiato davanti a un bacile di rame e si appresta a lavare i piedi a san Pietro. A destra, un uomo sta portando due brocche d'acqua. Gli apostoli sono raffigurati seduti o in piedi, impegnati a conversare e ad assistere a quanto si svolge in primo piano
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
- LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
- NOTIZIE STORICO CRITICHE La tela proviene dalla cappella Avanzi o della Croce in San Bernardino, dove occupava il registro superiore della parete sinistra, a fianco di una finestra e sopra il "Congedo di Cristo dalla madre" di Gianfrancesco Caroto, che oggi si trova sulla parete opposta. Commessa dalla Compagnia della Croce, che vi aveva sede, la decorazione pittorica della cappella copre un periodo di quasi mezzo secolo, dalla "Crocifissione" dello stesso Morone, datata 1498, ai due dipinti di Antonio Badile e del giovanissimo Paolo Veronese che nel 1546 portarono a termine l’impresa. Si tratta di uno dei complessi più importanti della pittura veronese del Rinascimento. La tela fu depositata in Museo nel 1851, insieme agli altri quadri della chiesa, che era stata adibita dagli austriaci a magazzino militare. I dipinti attribuiti a Paolo Morando detto il Cavazzola, tra i quali la "Lavanda dei piedi", furono donati alla Pinacoteca comunale dall’imperatore Francesco Giuseppe nel gennaio 1857, durante una sua visita a Verona, e non ritornarono più al loro posto quando la chiesa fu riaperta al culto (Avena 1907, pp. 49-50). L’ottocentesca attribuzione a Morando non ha alcun fondamento, se non forse in una certa lucentezza metallica dei tessuti, ed è smentita dalla esplicita citazione di Vasari, ma fu condivisa tra gli altri da un conoscitore dell’acume di Cavalcaselle. In uno dei disegni veronesi della Biblioteca Marciana, risalente probabilmente al 1866, egli rivelava i suoi dubbi annotando: «quadro che sente di Francesco Morone fatto prima degli altri» (Magagnato 1973, p. 23). Oggi nessuno pone in dubbio l’appartenenza del dipinto al catalogo di Morone (comunicazioni al Museo di Simeoni e Bernardini), anche se Sergio Marinelli ha voluto limitarne l’autografia solo ad alcune teste, ipotizzando un consistente intervento della bottega soprattutto nel disegno e nella stesura delle mani, che presentano l’aspetto quasi di protesi lignee (1998, p. 31). Ne sarebbe responsabile Michele da Verona, collaboratore di Morone negli affreschi di Santa Chiara del 1508, data che lo studioso non esclude possa estendersi anche alla "Lavanda dei piedi", anticipandone la tradizionale collocazione nel secondo decennio. Queste figure sintetiche e come intagliate nel legno, il nitore spaziale, l’astrazione geometrizzante della forma, per la quale si potranno segnalare le scaturigini pierfrancescane e antonellesche, sono altrettanti elementi caratterizzanti il linguaggio di Francesco al passaggio del nuovo secolo. Sono noti i rapporti del pittore con i suoi colleghi scultori, per esempio che nel 1504 egli assiste al testamento di Giovanni Zebellana. Si ha la netta impressione che tra Quattro e Cinquecento a Verona la scultura sia ancora e per l’ultima volta l’arte guida, che stimola i pittori all’emulazione e fornisce loro un codice estetico vincente (cfr. in proposito Marinelli 1990, p. 625). Non è quindi necessario ipotizzare una collaborazione di Michele o d’altri se si riconosce nella tela un’opera dei primissimi anni del secolo, coeva cioè alle "Stimmate di san Francesco" di Castelvecchio (inv. 1450-1B0348), alle pale di Brera e di Santa Maria in Organo (1502 e 1503 rispettivamente), agli affreschi che dal 1505 ricoprono le pareti e la volta della sacrestia della chiesa olivetana. In questo modo si rende ragione sia della data 1503 che lo scrupoloso Zannandreis registrava nelle "Vite" (ed. 1891, p. 84), ma che oggi più non si legge, sia dell’affermazione di Vasari, fonte sempre bene informata di cose veronesi, «che ritrasse questo pittore sé stesso in figura d’uno che serve a Cristo a portar l’acqua». Per quanto opinabili siano simili argomenti, il giovane senza l’aureola che reca azzimato e compunto i recipienti di rame non dimostra certo molto più di trent’anni. Quanto ai referenti formali che Del Bravo ha voluto individuare nel dipinto, da Carpaccio a Savoldo allo stesso Morando (1962, p. 16), pare siano tutti poco convincenti. Un rapporto concretamente verificabile, invece, benché limitato alla sola struttura compositiva, si può istituire con la "Lavanda dei piedi" di Giovanni Agostino da Lodi alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, datata 1500, circostanza che può avvallare l'anticipazione cronologica qui proposta. (da Gianni Peretti 2010, pp. 272-273)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717847
- NUMERO D'INVENTARIO 1439
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0